| E il secondo mandato di Bush sembra più vicino di Andrea Mancia
 
 Sarà stato l'effetto-Schwarzenegger o il media-blitz 
        dell'amministrazione repubblicana sul dopoguerra in Iraq, saranno stati 
        i risultati positivi di Wall Street nelle ultime settimane o forse 
        l'altro tasso di litigiosità interna di un partito democratico impegnato 
        nella campagna elettorale per le primarie. Sarà stato forse il 
        "combinato disposto" di tutto ciò, ma il presidente Bush ha cominciato a 
        risalire nei sondaggi, invertendo una tendenza in atto fin dalla 
        conclusione della guerra di liberazione dell'Iraq. E che molti 
        consideravano inarrestabile.
 
        Per
        
        Gallup, 56 cittadini statunitensi su 
        cento giudicano positivamente l'operato della Casa Bianca, contro un 40 
        per cento che ne ha un'opinione negativa. Un indice di consenso, il 
        cosiddetto "job approval rating", che Bush aveva visto pericolosamente 
        vacillare negli ultimi mesi, fino a raggiungere la soglia critica del 50 
        per cento nelle ultime settimane di settembre. Anche gli analisti del 
        prestigioso istituto demoscopico, però, hanno difficoltà 
        nell'individuare le cause di questa rimonta. Secondo i loro sondaggi, 
        l'amministrazione repubblicana continua ad avere problemi sia per la 
        politica condotta in Medio Oriente sia nella gestione dell'economia. 
        Eppure il consenso per Bush cresce, in curiosa controtendenza, fino a 
        superare quello ottenuto da Ronald Reagan nel 1983, allo stesso punto 
        della sua corsa verso la rielezione.  Sondaggi 
        a parte, questa prima metà di ottobre è stata caratterizzata da alcuni 
        avvenimenti che hanno contribuito ad accrescere l'ottimismo degli 
        ambienti repubblicani in vista delle elezioni presidenziali del prossimo 
        anno. Prima di tutto, la clamorosa sconfitta democratica nel "recall" 
        californiano, di cui si occupa 
        Alessandro Gisotti in questo numero di 
        ideazione.com. E' bastato vedere il tetro ex-governatore Gray Davis in 
        televisione, secondo i maligni, per far guadagnare qualche punto di 
        consenso ai suoi avversari. Senza contare il clamoroso risultato 
        ottenuto da Schwarzenegger tra gli elettori ispanici. Il 30 per cento 
        ottenuto contro Cruz Bustamante è andato oltre ogni più segreta 
        ambizione degli strateghi repubblicani, mentre i sondaggi privati del 
        presidente, secondo il columnist conservatore
        
        Robert Novak, lo accreditano 
        addirittura del 40 per cento del voto ispanico a livello nazionale. I 55 
        voti elettorali del Golden State, insomma non possono più essere 
        razionalmente considerati un patrimonio inalienabile del partito 
        democratico. E questa è un'ottima notizia per il GOP, in vista di una 
        campagna elettorale che ancora una volta si preannuncia "too close to 
        call", in cui ogni singolo stato sarà teatro di uno duro scontro 
        all'ultimo voto tra i candidati. Altre 
        buone notizie, tanto per cambiare, arrivano da una Wall Street in 
        ripresa, con un indice Dow Jones nuovamente vicino a quota 10.000 e con 
        un generale senso di ritrovata fiducia nei confronti del futuro 
        economico della nazione. Il dollaro che scende a tutto vantaggio 
        dell'export a stelle e strisce, insieme all'intelligente politica 
        monetaria di Alan Greenspan, sembrano altri fattori in grado di spingere 
        il sistema verso una ripresa capace di aiutare, forse in maniera 
        decisiva, le ambizioni elettorali di George W. nel 2004. Più 
        difficile da valutare, invece, l'impatto sull'opinione pubblica della 
        recente offensiva mediatica dell'amministrazione repubblicana sull'Iraq. 
        Certo che assistere al vicepresidente Cheney che
        
        annuncia alla stampa i risultati di un 
        sondaggio condotto da 
        Zogby International sulla percezione 
        dei cittadini iracheni degli "invasori yankee" deve aver fatto un certo 
        effetto. Perché John Zogby, fondatore di origini libanesi dell'istituto 
        di ricerca, oltre ad essere un democratico di sinistra dichiarato, è il 
        fratello di James Zogby, presidente dell'Arab-American 
        Institute che si è sempre contraddistinto per la sua feroce 
        opposizione all'intervento militare in Iraq. Ma soprattutto perché i 
        risultati del sondaggio, che pure si possono prestare a molteplici 
        interpretazioni, hanno oggettivamente fornito un quadro della situazione 
        tutto sommato lusinghiero per i sostenitori della presenza Usa 
        nell'ex-sultanato di Saddam Hussein. Se, come è stato accertato da 
        Gallup, il 45 per cento degli americani continua a credere che il 
        sistema mediatico sia troppo orientato verso posizioni "liberal" (contro 
        appena il 14 per cento che lo reputa troppo conservatore), le iniziative 
        della Casa Bianca per comunicare la propria strategia direttamente 
        all'opinione pubblica possono rappresentare un forte fattore di 
        consolidamento del consenso. Tutto il 
        contrario di quello che, in queste settimane, sta accadendo in campo 
        democratico. Dopo un avvio scoppiettante, alimentato con zelo da stampa 
        e televisione, la candidatura dell'ex-generale Wesley Clark sta 
        cominciando a perdere qualche colpo. Con il 18 per centro delle 
        preferenze, Clark è sempre in testa nei sondaggi nazionali, davanti a 
        Howard Dean (13%), Joseph Lieberman (12%), John Kerry (11%) e Dick 
        Gephardt (10%). Ma le prime due elezioni primarie si terranno a gennaio 
        in Iowa e New Hampshire. In Iowa Clark è così indietro 
        rispetto agli avversari da aver abbandonato la corsa anzitempo. Una 
        decisione, presa dopo il ritiro di Lieberman dalla stessa competizione, che potrebbe 
        fargli perdere l'inerzia ancor prima di iniziare a correre. Ma anche in 
        New Hampshire l'ex generale di Clinton insegue  da 
        lontano il gruppo degli avversari, guidato da Dean con il 40 per cento 
        delle intenzioni di voto. Tanto che la 
        candidatura dell'ultra-liberal governatore del Vermont sembra, ogni giorno di più, 
        prendere forma e sostanza. E questa non sarebbe soltanto una buona 
        notizia per Bush. Sarebbe una seria ipoteca per una facile vittoria nel 
        2004. 
        
        24 ottobre 2003 
        
        mancia@ideazione.com |