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Il Medio Oriente costruisce l'élite
del futuro
di BRUNO PAMPALONI
[11 lug 08] Tutto da quelle parti sta cambiando vorticosamente e, forse, niente sarà più come prima. Il Medio Oriente corre trascinato dalle entrate petrolifere ma si sta preparando a un futuro senza greggio. Gli arabi hanno voglia di immaginarsi i prossimi decenni a venire etsi deus non daretur, come se non fossero più “dipendenti” da quei milioni di barili riversati sul mercato e che hanno consentito loro di accumulare un’enorme fortuna. Indipendentemente dal fatto che la fine delle riserve sia davvero prossima e ventura. E ci si perdoni il blasfemo e forzato accostamento divino (rigorosamente in minuscolo) al petrolio. D’altra parte nel 2008 le entrate dei sei Paesi aderenti al Consiglio di cooperazione del Golfo sarebbero prossime a traguardare l’incredibile cifra di 500 miliardi calcolati in valuta americana. In base al recente rapporto economico realizzato da Saudi Jadwa Investment, con prezzi intorno ai 115 dollari al barile, la sola Arabia Saudita dovrebbe toccare per la prima volta “quota 300 miliardi”. Una sterminata ricchezza che questi Paesi stanno già reinvestendo in moltissime attività. Grazie a immobiliare, turismo, industria manifatturiera, infrastrutture, fonti rinnovabili, nucleare, finanza, telecomunicazioni, cinema, industria alimentare ed educazione, il Medio Oriente “petrolifero” sembra destinato a cambiare volto piuttosto in fretta. Per capire cosa gli arabi del Golfo faranno da grandi basta prendere atto delle notizie che si susseguono ormai senza sosta. Solo qualche giorno fa Abu Dhabi ha annunciato progetti molto ambiziosi: 200 miliardi di investimenti per ridurre la dipendenza dal greggio del 10 per cento in circa 15 anni. Di fatto, negli Emirati Arabi Uniti i settori non legati all’industria estrattiva cominciano ad acquistare un certo peso economico: quello manifatturiero vale l’11 per cento del Pil, mentre l’immobiliare e le costruzioni raccolgono rispettivamente il 4 e il 9 per cento della ricchezza nazionale. Qualche giorno prima il Bahrain aveva invece comunicato il via libera alla costruzione di un’intera isola immobiliare di 12 chilometri quadrati, “conquistata” al mare per edificare 30mila unità abitative in grado di ospitare più di 100mila persone. Valore: 3,2 miliardi di dollari.
Ma ciò che più colpisce è l’attenzione e la cura mostrate da Arabia Saudita, Bahrein, Emirati, Kuwait, Oman e Qatar per la formazione della futura classe dirigente locale. Un’élite destinata a guidare una regione finalmente “libera” dal petrolio. Entro il 2015, per esempio, saranno circa 30mila i giovani sauditi che, secondo le ultime stime, otterranno la laurea presso 800 importanti università dislocate in 25 Paesi del mondo. Molti di questi ragazzi hanno potuto contare sul sostegno del ministero per gli Affari Scolastici di Riyad, che ha previsto una serie di iniziative legate alla concessione di borse di studio. Inoltre, quando almeno la metà di loro avrà conseguito un master post-laurea, il 30-40 per cento verrà impiegato nel corpo docente delle università dell’Arabia Saudita. Cinquemila sarebbero gli studenti di medicina, 1.922 i futuri dentisti, cinquemila gli iscritti a ingegneria, quattromila i giovani che hanno puntato su It e comunicazione e seimila quelli iscritti a economia e finanza. Diverse sono le possibilità per accedere alle borse di studio per i vari corsi di laurea. Particolare attenzione è prestata ai migliori diplomati - che sono stati spediti a farsi le ossa in cinque Paesi a forte tasso di industrializzazione (Corea, Giappone, Cina, Francia e Germania) - e a chi intenda specializzarsi nell’istruzione dei disabili e nella cura di particolari malattie invalidanti. Anche gli Emirati Arabi Uniti spingono sull’acceleratore dell’educazione. Valga per tutti l’esempio della Mohammed bin Rashid Al Maktoum Foundation, entrata tra gli sponsor della London Business School. La settimana scorsa il prestigioso istituto ha inaugurato la cattedra “voluta” dalla fondazione che fa capo all’emiro di Dubai (e assegnata al professor Zeger Degraeve, Faculty Advisor per l’attività di ricerca).
Le iniziative della Fondazione araba - che collabora con diverse istituzioni di fama mondiale - sono volte al sostegno dell’istruzione, della ricerca e dell’innovazione. Mohammad Al Gergawi, presidente della Mohammed bin Rashid Al Maktoum Foundation, si è detto “felice per avere contribuito ai programmi di formazione della London Business School, volti alla formazione di una classe dirigente in grado di governare l’era della globalizzazione”. Per questo “la nuova cattedra intende fornire ai giovani gli strumenti e le conoscenze per guidare i business ad alto contenuto innovativo”. Ma da chi dovrà essere composta l’élite del futuro? Lo statuto della Fondazione parla abbastanza chiaro: i dieci miliardi di dollari devono servire a “migliorare la vita della comunità araba nel mondo”. Tutto dovrà avvenire “entro il 2015”. Insomma, formare quadri e manager di alto profilo destinati ad accompagnare “una società basata sulla conoscenza, la cultura, l’imprenditorialità e l’occupazione”.
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