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[30 mag 08]
In dubbio pro reo? Non più da quando la Procura raccoglie le prove
Appena condannata Anna Maria Franzoni con sentenza definitiva si pensa al modo di liberarla. Normale, si dirà: ma è bene domandarsene il perché. La ragione è che il ragionevole dubbio sulla colpevolezza non è stato eliminato. In particolare non è stata trovata l’arma del delitto e non si è fatta nessuna ragionevole congettura sul modo in cui la colpevole potrebbe averla fatta sparire.
Se le prove sono insufficienti si deve assolvere: così diceva il vecchio codice. Ma il nuovo si vergogna dell’insufficienza e la maschera sotto una formula ambigua. Questo perché, se le indagini le facesse la polizia e la Procura si limitasse a controllarle, che le prove raccolte siano insufficienti sarebbe ammissibile; ma ora le indagini sono condotte dai procuratori in prima persona (una volta, è già capitato, con la pistola in pugno) e si trova inammissibile che una Procura sia incapace di portarle a buon fine.
Sul delitto di Cogne gli errori dei carabinieri si sono sommati a quelli della Procura di Aosta e, forse, anche di qualche avvocato (non dell’ultima, una donna). Allora, pur di non ammetterli, si è posto rimedio, prima dimezzando la pena, poi studiando il modo di azzerarla del tutto. Ma l’imputato che non risulta colpevole al di la di ogni ragionevole dubbio va assolto e non condannato alla pena zero (come si usa fare sempre, da quando il senso della pena è andato perduto).
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