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[20 mag 08]
Douglas Carswell: il futuro è liberale
Douglas Carswell, 37 anni, è parlamentare britannico del partito Conservatore, eletto nel collegio di Harwich e Clacton. Esponente di punta del movimento liberale, è fondatore di Democrazia Diretta, uno dei maggiori think tank anglosassoni. In una recente pubblicazione per l’Adam Smith Institute, ha chiesto l’abolizione delle tasse nazionali a favore di una forma di tassazione locale, indipendente e autonoma di città in città. In sostanza, con l’introduzione dell’autosussistenza amministrativa, secondo Carswell migliorerebbero tutti i servizi al cittadino, perché potrebbero scegliere in base alla libera concorrenza ed alla convenienza di mercato.
“Le idee liberali sono universali. Non esiste un Paese al mondo in cui ridurre il ruolo dello Stato, introdurre un’economia di libero mercato e far sì che i politici debbano rendere conto alla gente del loro operato non avrebbe effetti positivi. Allo stesso modo tutti i Paesi, compresi Gran Bretagna e Italia, possono subire grossi danni dal Big Government. Tanto in Gran Bretagna quanto in Italia, fino a pochissimo tempo fa il liberalismo era in caduta. Dalla fine del diciannovesimo secolo, diversi cambiamenti sociali ed economici hanno incoraggiato la crescita del Big Government. L’espansione del potere dello Stato è stata agevolata dai cambiamenti tecnologici e incoraggiata dagli intellettuali di sinistra. Il potere si è andato centralizzando sempre più intorno allo Stato, mentre il liberalismo classico si arroccava su posizioni difensive”.
In Gran
Bretagna, però, siete riusciti a far prevalere una logica liberale. Qui
da noi ancora sembra lunga la strada…
In Gran Bretagna la svolta è arrivata nel 1979. Quell’anno si è
verificata una crisi di tipo antiliberale. Il fallimento economico ha
dimostrato che il Big Government non era in grado amministrare
l’economia. Ispirati da studiosi che avevano posizioni estreme, come
Hayek e Friedman, i conservatori britannici iniziarono a fare di nuovo
riferimento alle idee liberali. Compresero che, invece di cercare di
gestire l’economia, i politici e lo Stato dovevano decentralizzarne il
controllo. Nacque il thatcherismo, un programma radicale per la
liberalizzazione dell’economia.
Un modello
che molti in Europa vi hanno invidiato.
Ma non è sufficiente, almeno per noi. Io ho deciso di fare politica
perché non credo che la rivoluzione liberale compiuta dai governi
Thatcher si sia spinta abbastanza avanti – anzi, stiamo tornando
lentamente indietro con la crescita incontrollato del Big Government.
Thatcher è riuscita solo a liberalizzare l’economia, ha decentralizzato
il potere economico, ma il liberalismo continua a indietreggiare davanti
al potere politico ipercentralizzato. Mi spingerei addirittura a dire
che oggi la Gran Bretagna non è più una vera democrazia liberale, ma una
tecnocrazia non eletta. Le decisioni chiave sulle questioni che stanno
più a cuore ai cittadini – sanità, istruzione, sicurezza, immigrazione –
non vengono prese da chi riceve il nostro voto, ma da funzionari non
eletti. Il governo non è più nelle mani di persone che si possono
votare, ma di una burocrazia remota – quello che in Gran Bretagna
chiamiamo “lo Stato quango [quango è l’acronimo dispregiativo di
quasi-autonomous non-governamental organization; in italiano si
potrebbe tradurre con quasi ufficiale, ndt].
Però potrebbe
anche voler dire separare le questioni tecniche da quelle politiche.
L’aumento di funzionari non eletti nel governo ha due conseguenze
terribili. Prima di tutto ha causato una forte sfiducia nel sistema
politico. Oggi in Gran Bretagna la partecipazione al voto ha toccato la
soglia più bassa dall’introduzione del suffragio universale.
L’establishment politico viene guardato con disprezzo, spesso
giustamente. In secondo luogo, il governo dei funzionari non eletti ha
creato una ipertrofia del Big Government senza precedenti. Come aveva
intuito Antonio Gramsci, dare potere a istituzioni che non devono
rendere conto del loro operato equivale a dare potere alla sinistra. Non
è un caso che questi funzionari, giudici e burocrati favoriscano misure
per l’istruzione, politiche per l’immigrazione e leggi sul lavoro di
sinistra. Qualunque problema affligga la vita pubblica, sembra che oggi
in Gran Bretagna l’unica risposta sia “più Stato”. Il potere esecutivo è
in mano a funzionari pubblici e giudici che non rendono conto del
proprio operato. Agenzie statali controllano ogni aspetto della nostra
vita. I servizi pubblici non sono gestiti da chi deve rispondere ai
cittadini, in quanto utilizzatori di quei servizi, ma a una ristretta
élite.
Quindi
alleggerire lo Stato, consentire libertà di mercato, significa aiutare
il cittadino?
La grande sfida del liberalismo non è semplicemente quella di battersi
per il libero mercato, meno tasse e per una generale deregolamentazione;
persino i governi di sinistra parlano di questi temi. La nostra sfida è
più profonda. Dobbiamo riconoscere che per raggiungere una società
liberale, e non solo il liberalismo economico, è necessaria una riforma
politica radicale. Non dobbiamo cambiare solo l’economia, ma il modo in
cui facciamo politica, sia a Roma che a Londra.
In che modo?
I nostri sistemi di democrazia rappresentativa essenzialmente
ottocenteschi attribuiscono troppo potere agli intermediari – politici a
tempo pieno, giudici, funzionari e cosiddetti esperti. Per questo è
diventato molto difficile tenere sotto controllo chi detiene il potere
esecutivo e bisogna trovare nuovi modi per esercitare questa vigilanza
diretta. In Gran Bretagna ho lanciato la campagna
Direct Democracy appoggiata da gran parte dei nuovi parlamentari
conservatori. Vogliamo che la democrazia diretta diventi l’anima del
nuovo programma del Partito conservatore guidato da David Cameron.
Crediamo nel “localismo” – trasferire il potere da Londra e Bruxelles
agli individui quando è possibile o ai municipi quando è necessario.
Vorremmo che i funzionari pubblici rispondessero del loro operato
direttamente ai cittadini dei quali sono al servizio: i dirigenti della
polizia locale dovrebbero essere eletti direttamente dalla popolazione.
I genitori dovrebbero avere voce in capitolo sulla parte di
finanziamenti scolastici che spetta al loro figlio. Crediamo anche che i
politici debbano essere direttamente responsabili nei confronti dei
cittadini; chiediamo il diritto di iniziativa e di referendum, come
accade in Svizzera dove i cittadini hanno un potere reale e diretto.
Sosteniamo l’istituzione di un referendum per esercitare un diritto di
veto, in modo che i cittadini possano esercitare un controllo sulle
ambizioni dei politici. Vogliamo abolire ogni forma di finanziamento
pubblico dei partiti politici, perché crediamo che il pesante apparato
corporativo della politica sia deleterio. I politici devono imparare a
vivere con i loro mezzi e ad usare internet per comunicare con gli
elettori e raccogliere fondi – come è riuscito a fare Barak Obama negli
Stati Uniti. Vorremmo anche l’istituzione di primarie aperte che
permettano a tutti di scegliere i candidati per tutte le cariche
pubbliche. Attualmente non c’è abbastanza concorrenza in politica e le
regole favoriscono l’establishment e la sua linea.
E crede che
prima o poi questo avverrà? O meglio, crede che i partiti siano disposti
ad abbandonare la strada sicura del finanziamento pubblico?
Sono estremamente ottimista. Internet inizia a dare nuova vita al
liberalismo. Riesce a diffondere informazioni e disseminare idee, ma,
cosa altrettanto importante, rimuove le barriere per l’accesso in
politica come nel business. Nasceranno nuove campagne politiche, nuovi
gruppi di pressione e nuovi partiti. Nell’era di YouTube, non è più
l’elite dei giornalisti a decidere cosa fa notizia. Né sono solo i
politici dell’establishment a decretare quali sono le opinioni con
diritto di cittadinanza. Internet introdurrà a forza un nuovo tipo di
politica iperdemocratica. Proprio quando gli elettori in tutto il mondo
occidentale chiedono una politica nuova – diversa, autentica, locale e
particolare- internet la rende possibile. Ma la cosa più importante è
che internet scardinerà lo Stato centralizzato e monopolista. Potremo
richiedere informazioni e compiere delle scelte non solo prenotando una
vacanza o acquistando una polizza assicurativa online – ma valutando
come sono gestiti il nostro ospedale e le nostre scuole e come funziona
la nostra polizia locale.
Quindi,
secondo lei, internet è uno strumento liberale. O meglio,
antistatalista.
Se ha ancora dei dubbi, rifletta per un attimo su questo; su internet e
nei blog predominano i commentatori e le opinioni liberali. E’ solo
perché la sinistra è lenta? E’ solo perché i politici e i giornalisti di
sinistra devono ancora capire? No. E’ perché internet è un mezzo
intrinsecamente liberale, profondamente contro l’establishment e
decentralizzante. La sinistra – con il suo amore per il corporativismo –
prosperava nell’era del governo e dei media corporativi. Questa era sta
finendo. E l’era di internet sarà profondamente liberale.
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