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Pubblico impiego: adesso la valutazione a stella
Il neoministro alla Funzione Pubblica, Renato
Brunetta, annuncia la rivoluzione della Pubblica Amministrazione. E
raccoglie consensi anche a sinistra.
di
STEFANO CALICIURI
[14 mag 08] “Gli italiani ci chiedono beni e servizi pubblici di qualità e a costi ragionevoli, ma questi non devono essere necessariamente forniti direttamente dalla Pubblica Amministrazione. Occorre mettere i clienti in condizione di scegliere il fornitore di beni e servizi che meglio li soddisfa, pubblico o privato che sia. E pagare una volta sola. Per fare questa scelta occorre misurare la qualità dei beni e servizi pubblici erogati. Una sfida possibile, perché tutto può essere misurato. E solo ciò che non si misura non può essere valutato e quindi migliorato”. Parole del neo ministro alla Funzione Pubblica ed Innovazione, Renato Brunetta. Il segnale è chiaro: è nell’interesse dei cittadini avere un apparato pubblico che funziona ma, per far questo, i primi a lavorare onestamente e seriamente devono essere proprio i dipendenti. Le tanto vituperate commissioni di valutazione, dunque, potrebbero ben presto entrare a pieno regime, e non serviranno soltanto per distribuire “in positivo” premi produttività, ma anche per interrompere i disservizi, le assenze prolungate ed ingiustificate, il “fannullismo”. In che maniera? Ci sono molti metodi: si comincia dal richiamo, per poi passare all’ammonizione, quindi la sospensione temporanea. Il licenziamento è soltanto l’ultimo gradino della scala punitiva ma si potrà (e dovrà) arrivare anche a questo.
Quello che Brunetta definisce “un approccio liberale e senza pregiudizi, un grande patto per cambiare la pubblica amministrazione” è in sostanza un tavolo di confronto e discussone attorno cui potranno sedere tutti gli attori coinvolti, dalle famiglie ai consumatori, dalle imprese ai network, compresi i “grandi saggi” invitati direttamente dal ministro. Tre su tutti: Nicola Rossi, Pietro Ichino, Franco Bassanini.Come l’esperienza sarkozyana insegna, in materia di riforme è sempre bene aprire il dialogo con il maggior numero di persone e tecnici possibili, siano essi colleghi di partito, alleati di coalizione o avversari. Il punto cruciale è decidere chi debba valutare chi. Nei propositi di Brunetta sarebbe la dirigenza pubblica che tornerebbe, insomma, ad avere quel potere disciplinare chiaro e condiviso in grado di organizzazione il lavoro, di distribuire o togliere mansioni, di trasferire nell’ambito degli uffici, di valutare e di incentivare. Un’idea potrebbe essere quella di prendere come modello le grandi aziende anglosassoni che attuano uno schema di valutazione “a stella”. Tutti valutano tutti: i subalterni (che possono giudicare il loro capo a seconda dell’atteggiamento mantenuto o della capacità di insegnamento), i pari grado, i superiori, ma anche tutti gli attori comunque coinvolti in rapporti con l’esaminando. Si pensi ad esempio ai direttori delle riviste scientifiche per i docenti universitari o ai fornitori di materiale per i dirigenti amministrativi.
E’ importante però che i dati finali e le tabelle riassuntive di valutazione siano poi diffuse e pubblicate su larga scala, in maniera che tutti possano prendere atto e verificare l’esattezza della valutazione. Non si lascerebbe spazio a sospetti in caso di promozioni oppure a congetture in caso di retrocessione di ruolo o, peggio ancora, di provvedimento di decurtamento dello stipendio. I primi ad essere valutati saranno i dirigenti, perché direttamente e responsabilmente coinvolti nei processi delle pubbliche amministrazioni. Un segnale di svolta, dunque, come mai era stato preannunciato da un neo ministro alla Funzione Pubblica, ruolo solitamente volto più alla conservazione che all’innovazione. Pietro Ichino, che già un anno fa diede alle stampe un saggio con cui spiegava la necessità di allontanare dagli uffici pubblici i fannulloni, ha dimostrato interesse per il progetto e propensione alla partecipazione. “Il licenziamento nei casi più gravi – spiega il giuslavorista - è la sanzione inevitabile in qualsiasi azienda pubblica o privata che sia minimamente funzionante. Ma il potere disciplinare è solo una delle prerogative dirigenziali a cui il management pubblico ha abdicato negli ultimi decenni. Ancor più importante è riattivare la riorganizzazione e valutazione dei dipendenti, la distribuzione delle risorse, il cambiamento di mansioni. Per questo occorre che i dirigenti pubblici siano ancorati a obiettivi misurati, realistici e controllabili anche dall’esterno”.
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