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[29 feb 08]

Carlo Giovanardi: "Fi-Pdl, dalla monarchia alla repubblica"

In un Palazzo ormai desolatamente vuoto, Carlo Giovanardi è tra i pochi a rispettare il suo ruolo fino alla fine del mandato: ogni mattina prende posto nell’ufficio al secondo piano di via degli Uffici del Vicario, sede della presidenza della Giunta per le autorizzazioni, dimostrando un rispetto per le istituzioni fuori dal comune. Vita che, probabilmente, farà ancora per un mese. Poi saranno le urne a stabilire chi avrà possibilità di essere riconfermato e chi invece dovrà traslocare. Una cosa, però, è certa: Giovanardi traslocherà comunque. Se non altro perché il prossimo mandato lo vedrà tra i protagonisti del Popolo della libertà.

Perché la scelta di abbandonare Casini e l’Udc?
Non sono stato io ad abbandonarli. Sono stati loro ad uscire dalla coalizione che da quattordici anni lavora fianco a fianco. Prima si chiamava Polo, poi Casa delle Libertà, oggi Popolo della Libertà.

Però ha dato vita al movimento Popolari Liberali: cos’è, l’ennesimo partitino?
Ma non scherziamo. Il Popolo della libertà è un’aggregazione unitaria di differenti movimenti e partiti, ognuno con i propri obiettivi, con le rispettive priorità, ma tutti uniti sotto lo stesso simbolo.

Quali sono le linee guida dei Popolari Liberali?
Innanzitutto dare continuità a questi ultimi 14 anni di storia politica italiana. Non posso non ricordare che, in tutto questo tempo, tutti noi siamo stati eletti in collegi uninominali con i voti di Lega, Udc, Forza Italia ed Alleanza nazionale. E, visto il profondo rispetto che ho verso i cittadini, credo che la scelta di entrare nel Popolo della libertà sia la logica conseguenza di ciò.

Molti credono che in realtà il Popolo della libertà sia semplicemente una sorta di Forza Italia allargata.
Non è assolutamente così. Lo stesso Berlusconi ha tenuto a specificare che lui si è solo fatto promotore dell’unità ed una volta avvenuta saranno i congressi, le elezioni dalla base, a decidere chi saranno i nuovi vertici dirigenziali del partito. In sostanza ha detto che il partito si trasformerà da monarchico a repubblicano. Il re Berlusconi lascia lo scettro e sarà il popolo ad eleggere i rappresentanti.

Torniamo alle linee guida dei Popolari Liberali. Come conciliare il liberalismo con la dottrina della cattolica?
Come è sempre stato fatto. Prendiamo ad esempio Kohl. Lui è stato credo tra i massimi esponenti della felice sintesi tra liberalismo e popolarismo. Per rimanere in Italia, cito invece De Gaspari, Einaudi e Saragat, esempi di quella sintesi tra cultura liberale, popolare e solidarietà sociale che ha governato dal ’46 al ’94. Poi è subentrato il Polo, quindi il Pdl. Bisogna tenere distinta l’economia dai temi etici. Noi siamo per il liberismo economico, la concorrenza ed il libero mercato, l’abbassamento delle tasse e le riforme fiscali. Ma nello stesso tempo abbiamo ben chiaro in mente che su alcuni capisaldi non si transige.

Ad esempio?
La legge 40, che d’altronde è stata fatta dal governo Berlusconi. Le radici cristiane dell’Europa. Il riconoscimento fiscale del volontariato religioso. La salvaguardia della famiglia e la battaglia contro i Dico. L’interruzione della deriva eugenetica. Idee che si possono portare avanti anche senza mettersi in vendita, isolarsi per difendere quel 4 per cento di consenso che si crede di avere.

Un riferimento a Casini?
Non solo. La miseria umana è presente in tutti i partiti, Udc compreso. Diciamo che in questo momento Casini sta ragionando più per se stesso che per i valori di cui si dice portabandiera.

Da cattolico prima e da politico poi, come giudica la presa di posizione di Giuliano Ferrara?
Mi ha sorpreso. E’ certamente una bellissima battaglia ma non giustifica una lista. Non si può fare di un unico punto, condivisibile quanto si vuole ma pur sempre unico, un programma politico. Le parrebbe possibile che negli Stati Uniti Clinton o Mc Cain possano basare la loro campagna elettorale soltanto sulla moratoria per l’aborto? Si può, anzi forse si deve, parlare anche di quello. Ma non si può sorvolare su questioni come la sicurezza, la sanità, le pensioni, le tasse. In fin dei conti sono questi i problemi quotidiani dei cittadini, quelli per cui si combatte una battaglia politica. L’aborto va al di là, è una battaglia etica ancor prima che politica.

L’ingresso dei radicali nelle liste veltroniane, però, sembrerebbe smentire questa sua teoria.
Veltroni ha aggiunto al suo schieramento un filone pesantemente anticlericale e anticattolico. Onestamente mi pare una scelta strana, che gli potrà creare più danno che utilità. 

Come giudica la nascita della Rosa Bianca?
Un film già visto. Martinazzoli, Andreotti, Zecchino. In tanti hanno riprovato a ricostruire la Democrazia Cristiana ma ormai siamo fuori tempo massimo. Gli italiani sono abituati al dualismo: Coppi contro Bartali, Don Camillo contro Peppone, la stessa Dc contro il Pci. Erano tempi in cui si esultava per mezzo punto percentuale in più e si doveva giustificare il mezzo punto perso.

La Dc però stava con i socialisti e i repubblicani. Era più di un duopolio.
Erano autonomisti ma alleati, con la Dc come forza trainante. Oggi questo ruolo è ricoperto dal Pdl con la Lega da un lato e il Pd con Di Pietro dall’altro. Non c’è spazio per una terza forza. Mi vengono in mente i repubblicani di La Malfa, appoggiati dal fior fiore degli intellettuali dell’epoca. Erano però elitari, la maggioranza dei cittadini non si rispecchiava in quella che considerava una nicchia. Erano certamente importanti per la coalizione di governo, ma non potevano esistere da soli. La situazione non è cambiata. La stragrande maggioranza degli italiani sceglierà tra Berlusconi e Veltroni. Poi ci sarà sempre un sei per cento che si dividerà tra gli altri.

Si parla molto della cosiddetta questione generazionale. Crede che queste elezioni possano segnare un punto di svolta? Ovvero, garantire un ricambio?
Non credo che il metro di misura della preparazione personale sia l’età anagrafica. Sono le idee che contano, i pensieri, a prescindere da quanti anni abbia chi le dice.

I partiti però sembrerebbero lo stesso propensi a rinverdire il parlamento.
Mi permetta. Gliela faccio io una domanda: in che modo lo faranno?

Beh, candidando qualche under 35 in più dell’altra volta.
La candidatura non basta. Devono essere inseriti in una posizione alta della lista così da risultare eletti a prescindere dal risultato elettorale generale. In parole povere, saranno nominati parlamentari. Questa però è una democrazia bloccata, costituita da militi ignoti. Diventare deputato o senatore oggi dipende soltanto dal grado di amicizia che si ha con il capo.

Cosa aspettate allora a cambiare la legge elettorale?
Fosse per me lo farei anche domani. D’altronde io non sono mai tornato sui miei passi: difendevo le preferenze nel ’94 e le difendo tuttora. 

Ma un sistema bipolare porterebbe quasi naturalmente al maggioritario.
E allora istituiamo le primarie, a cui però chiunque può partecipare. Ci si misura, ci si confronta, ed il più bravo sfiderà il candidato dell’altro schieramento. La sostanza non cambia: sempre di preferenza si tratta.

 

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