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[7 apr 08]
Veltroni e la
corte dei giornalisti
La
nota a margine di questa settimana riguarda solo in apparenza Walter
Veltroni e la sua campagna elettorale: a ben vedere, invece, è una
piccola riflessione che avevo in animo da tempo su (almeno) una parte
del giornalismo politico italiano. Dunque, mentre sto scrivendo, mancano
cinque giorni effettivi a venerdì 11 aprile, cioè alla chiusura della
campagna elettorale: sono dunque trascorsi cinquanta giorni ufficiali di
campagna, e Walter Veltroni è giunto più o meno al suo centesimo
appuntamento pubblico in pullman. Come si sa, infatti, il segretario del
Pd, con una scelta assolutamente razionale dal punto di vista di chi
deve tentare di risalire nei sondaggi, ha deciso di percorrere l’Italia
a tappeto, prevedendo un comizio in ciascuna delle centodieci province
italiane. Due appuntamenti al giorno, insomma: un ritmo serrato, una
notevole prova sia fisica che nervosa, ma - lo ripeto - assolutamente
necessaria per chi si trovava a iniziare la corsa elettorale nelle
condizioni di Veltroni.
E’ anche noto che, sul pullman, viaggiano con Veltroni alcune decine di giornalisti, che hanno seguito passo passo il suo giro d’Italia. Ed ecco il punto. Possibile che in cinquanta giorni Veltroni non abbia commesso una sola gaffe? Possibile che non gli sia mai sfuggita una parola fuori posto nei confronti dei suoi compagni di partito e di coalizione? Possibile che non abbia mai rilasciato, magari nella comprensibile concitazione di una giornata tesa, una dichiarazione inopportuna? Possibile che tutte le interviste in audiovideo abbiano sempre - sempre, sempre! - avuto la luce “giusta”? Possibile che tutti i tg, pressoché senza eccezioni, estraggano lo stesso stralcio di trenta secondi, in voce, sia dal comizio del mattino sia da quello del pomeriggio, facendo simultaneamente “passare” a reti unificate la stessa battuta e lo stesso concetto? Possibile che, peraltro, oltre a scegliere lo stesso pezzettino - si capisce: casualmente - la sequenza si chiuda sempre con l’applauso della folla? Possibile, infine, che a Veltroni riesca quello che non riesce mai praticamente a nessun leader in nessuna parte del mondo, e cioè imporre quotidianamente ai media la sua agenda, il suo argomento del giorno, il suo tema? Tutti sanno, dall’ultimo consiglio comunale su su fino a Downing Street, che l’incubo di un politico è sempre lo stesso: tu vorresti parlare di una cosa, ma i giornalisti ne scelgono un’altra. Per Walter, mai.
Intendiamoci. Io credo che Veltroni sia un bravo comunicatore, e che disponga di uno staff consolidato e rodato. Credo anche che tutto ciò non gli eviterà una sconfitta con forte distacco. Ma non è questo il punto. La cosa che mi interessava e mi interessa capire è quanto siano “embedded” tanti, troppi giornalisti italiani. Starei per dire, “antropologicamente embedded”. C’è un “idem sentire”, una sensibilità comune, che li porta “con naturalezza” ad agire così. L’importante è saperlo e ricordarlo, la prossima volta che sentiremo parlare di “giornalismo indipendente”.
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