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[02 mag 08]
Salviamo la festa del cinema di Roma
Dopo quindici anni di egemonia di sinistra, anche e soprattutto culturale, Roma ha scelto Alemanno come sindaco e si apre a un’esperienza nuova. Niente interpretazioni politiche in questa rubrica, per carità, ma c’è un risvolto della vicenda che ci interessa particolarmente: il destino della Festa del Cinema, forse il simbolo più noto del veltronismo. “Che l'Universo perisca, purché io abbia la mia vendetta”. Questa frase del Cyrano di Bergerac di Rostand deve essere balenata parecchio nella mente di molti esponenti della destra romana. E quindi via a distruggere i simulacri della sinistra caduta, prima tra tutti proprio la kermesse cinematografica.
Intendiamoci, la kermesse veltroniana, guidata dal factotum Goffredo Bettini, è perfettibile, migliorabile e modificabile. Si potrebbe, ad esempio, spendere meno in grandi ospiti hollywoodiani, che sicuramente portano allure sul tappeto rosso ma che, artisticamente, non aggiungono nulla alla manifestazione. In definitiva, quindi, si potrebbe fare più cinema e meno gossip, dare più spazio all’arte, togliendolo al caravanserraglio dello showbiz. Questo Alemanno può, anzi deve, farlo. Aver pensato a un personaggio come Pasquale Squitieri per la guida delle prossime edizioni è, ad esempio, una cosa più che intelligente. Squitieri, oltre a essere un affermato regista, è anche e soprattutto un uomo di cultura, slegato da qualsiasi forma di soggezione nei confronti dell’establishment culturale di sinistra. Accorpare la festa del cinema ai moribondi David di Donatello è un’altra ottima idea, che finalmente può rivitalizzare un evento ormai stanco e antico, nonostante gli sforzi dell’ottimo Gian Luigi Rondi.
Quello che Alemanno non deve fare, invece, è distruggere la festa del cinema completamente, per sostituirla non si sa bene con cosa. Dopo la vittoria e la conquista del Campidoglio, da più parti sono arrivati al neosindaco consigli di vario genere, molti dei quali sinceramente imbarazzanti. Chi propone, ad esempio, di limitare la partecipazione a soli film italiani, è forse vittima di quella sindrome recente che potremmo definire “dell’Alitalia”. Italianità e chiusura: queste le parole d’ordine. Qualcun altro, invece, ha lanciato l’idea di trasformare il tutto in una sorta di Fiera del cinema italiano, un evento commerciale più che artistico, utile a vendere prodotti cinematografici e televisivi ai distributori internazionali. Ma il cinema non è un’automobile, né un prodotto alimentare. I film si vendono anche e soprattutto attraverso manifestazioni culturali come il Festival di Venezia, di Cannes, di Berlino e, sia chiaro a tutti, di Roma. Migliorare, dunque, è possibile, anzi necessario. Smantellare, al grido di “Muoia Sansone e tutti i Filistei!”, no, sarebbe un grave errore culturale e politico.
Ha ragione, ad esempio, Pasquale Squitieri quando dice che è una vergogna che alla kermesse capitolina “non venga neanche invitato il meglio del cinema italiano. E restano fuori dalla porta, per esempio, personaggi del calibro di Milena Canonero, tre volte premio Oscar per i costumi”. Ha torto, però, quando appoggia incondizionatamente la nuova linea autarchica, con le porte chiuse ai grandi film internazionali. Non bisognerebbe scordare, ad esempio, che l’edizione dello scorso anno vide il trionfo dell’americano Juno, un film delizioso, intelligente, che ha fatto discutere. Produzione americana non equivale automaticamente a cinema di bassa qualità. E la destra culturale, che tanto ha patito l’ingiusto ostracismo per mano della intellighentsia radical chic, deve dimostrare i passi avanti giganteschi che ha compiuto negli ultimi anni. In caso contrario, il rischio è quello di dar ragione ai soliti Soloni “de sinistra”, che già fanno circolare una velenosa battuta: “Arriva la cultura di destra: già in programma il festival dei cinegiornali Luce”.
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