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[01 lug 08]
Sarkozy alla prova dell'Europa
Visto da Berlino, il semestre di presidenza europeo che Nicolas Sarkozy avvia oggi si presenta ambizioso e irrealizzabile. Tanto più irrealizzabile quanto più ambizioso. Il giudizio non viene, ovviamente, dalle sedi istituzionali ufficiali, dalla Cancelleria o dall’Auswärtiges Amt (il ministero degli Esteri), quanto dalla stampa e dagli opinionisti. Questi ultimi, non vincolati all’obbligo della diplomazia, possono esternare con più libertà i dubbi che la Germania nutre sul vasto programma sarkoziano. “Vaste programme”, avrebbe detto il generale De Gaulle, magari con una punta di ironia francese (e infatti si riferiva a un disturbatore che lo aveva interrotto gridando “morte agli idioti”)
E’ importante il giudizio della Germania, per di più preventivo? Sì, è importante, e non soltanto perché questa rubrica viene confezionata a Berlino e dunque è per definizione portata a sovrastimare il peso del punto di vista tedesco, quanto perché se l’Europa vorrà ripartire e uscire davvero dall’impasse in cui s’è infilata da quattro anni, è sull’asse Parigi-Berlino che dovrà di nuovo poggiare, aggiungendovi poi il contributo niente affatto marginale di altri Paesi come la Spagna, la Polonia (e ci auguriamo anche l’Italia). Se è vero che ci vuole un motore più robusto per strappare dalle sabbie mobili un convoglio lungo ventisette Stati, un motore i cui pistoni battano al centro, al sud e anche ad est, è ancor più vero che quando le cose si mettono male, è alla radice che bisogna andare: e quella europea si trova conficcata nel Reno, tra Francia e Germania.
Quali sono, allora, i dubbi di Berlino? Innanzitutto la troppa carne al fuoco. Il semestre di presidenza francese, infatti, si propone: l’accordo su una politica comune per l’immigrazione; di porre le fondamenta per una politica comune di difesa; l’accordo sull’ambiente; la definizione di una politica comune sull’energia (divenuta un po’ la questione delle questioni); il varo dell’unione mediterranea sotto l’egida di Parigi. Se sei mesi vi sembran pochi… A guardare le esperienze dei semestri guidati da grandi Paesi europei, altri vasti programmi sono naufragati sotto i colpi del velleitarismo o di emergenze non prevedibili. Uno è il caso dell’Italia nel 2003, l’altro (tragico) della Gran Bretagna nel 2005, quando una presidenza che si annunciava rivoluzionaria come quella di Tony Blair venne dirottata dall’emergenza terrorismo scoppiata a Londra. Tanto che dalle parti di Bruxelles corre la battuta che, alla fine, i semestri più fattivi sono quelli guidati dai piccoli Paesi, proprio perché i loro programmi sono più modesti.
La Germania nel 2007 aveva fatto tesoro di questa lezione e, nel semestre che riavviò il percorso costituzionale europeo, si concentrò su due punti essenziali: un nuovo trattato e l’avvio di una politica ambientale. Tanto più che “l’emergenza non prevedibile” (ma in realtà prevedibilissima) è già scoppiata e rischia già di assorbire gran parte dell’energia della diplomazia francese: il no irlandese. Tutto è stato spostato a ottobre, ma nel frattempo bisognerà spingere i Paesi che ancora devono ratificare il trattato a muoversi. In più Sarkozy ha già dovuto inserire l’11 luglio una prima visita a Dublino: l’obiettivo è ascoltare e capire. E anche sull’unione mediterranea le cose sono piuttosto confuse. La Turchia nicchia, la Libia pure e anche l’Algeria non si sente tanto bene. E la Croazia ne farà parte, dopo che Sarkozy ha detto a chiare lettere che senza trattato di Lisbona si bloccherà il processo di allargamento? Il progetto verrà presentato in pompa magna il 13 luglio e a Berlino si continua a credere che la politica mediterranea sia un aspetto della generale politica europea e che non ci sia alcun motivo di delegare alla Francia compiti di guida: il sospetto (alimentato dalle visite “commerciali” di Sarkozy nei mesi precedenti) è che si tratti di un modo per accrescere nell’area solo l’influenza francese e non quella generale dell’Europa.
Non tutti i Paesi europei hanno tuttavia lo scetticismo dei tedeschi verso Sarkozy. L’Italia, ad esempio, sembra nutrire molta fiducia e spera che l’attivismo del presidente possa finalmente trovare un terreno fertile per esprimersi (al di là del campo sentimentale). Conta molto, nel giudizio italiano, il fascino che Sarkozy ha continuato ad avere in questi mesi, specie negli ambienti politici affini e nonostante le difficoltà incontrate in patria. C’è anche la convinzione che le idee innovative del presidente francese in chiave europea siano davvero utili a rimettere in moto un’Europa imballata e che, in fondo, anche il successo “tedesco” del nuovo trattato vada ridimensionato dopo il no irlandese. Quello che accadrà lo misureremo mese per mese. Di certo è che la paralisi europea non è fatta di stagnazione ma di un movimento a vuoto dei suoi Stati membri, e in particolare di quelli che dovrebbero far corpo comune e che invece sembrano muoversi ognuno per conto proprio. Peraltro nel momento in cui una delle alternative più serie all’impasse è rispolverare la vecchia idea dell’Europa a più velocità. Ma almeno i pistoni del motore dovrebbero battere tutti nella stessa direzione.
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