“Questa o quella per me
pari sono”. L’aria del Rigoletto di Verdi sarebbe perfetta per
Daniele Capezzone, se solo l’ex segretario radicale avesse una voce
intonata e tenorile. Il già enfant prodige della pluridecennale
stirpe radicale, infatti, sta per scendere formalmente in campo
contro le mancanze liberali dell’uno e dell’altro polo politico.
Manca poco, ormai, al lancio del network capezzoniano,
un’aggregazione che ha come scopo principale il rilancio delle
riforme economiche e sociali di stampo liberale. Il tutto in puro
stile bipartisan, forse perfino “tripartisan”, se consideriamo i
cosiddetti “terzisti” o chi fino ad oggi non si è mai schierato;
basta scorrere i nomi dei possibili aderenti, ormai da giorni
protagonisti del totocapezzone sui giornali, per capirlo: Monti,
Giavazzi, Ichino, Taradash, Della Vedova, Tabacci, Caldoro,
Debenedetti, Pezzotta, Turci, Polito, De Luca e addirittura Luca
Cordero di Montezemolo. Un mix azzardato secondo alcuni, non fosse
altro perché, a prescindere dall’impostazione liberale dei
personaggi, non sarà facile tenere insieme per un progetto a lungo
termine individui così diversi per quanto riguarda le sensibilità
politiche (o più prosaicamente lo schieramento di appartenenza).
Sempre che di progetto a lungo
termine si tratti. Aggregazione “a progetto”, allo scopo
contingente di rilanciare le riforme sul modello del gruppo
dei Volenterosi? Gruppo permanente di pressione (chiamiamola
pure lobby)? O piuttosto piattaforma politica dalla quale
partire per costruire qualcosa di più, per rinnovare lo
scenario politico e scendere in campo ufficialmente davanti
agli elettori? Nel primo caso il suddetto problema della
coesistenza politica non sussisterebbe. Finita la missione
prefissata, infatti, ciascuno tornerebbe al proprio posto,
politico o imprenditoriale che sia. Ma chi conosce Capezzone
e ne ha seguito la recente parabola politica sembra
sconfessare questa tesi. Il presidente della commissione
Attività Produttive della Camera, infatti, avrebbe in mente
qualcosa di più ampio e ambizioso. Conscio dell’inutilità
oggettiva di un nuovo partitino e impossibilitato a
scegliere (almeno per il momento) un partito nel quale
confluire, Capezzone vorrebbe, in poche parole, partire da
un network politico-culturale, quasi un think tank, per poi
capire se il quadro politico si possa riadattare al progetto
liberale che intende portare avanti. Non in chiave terzista,
però. Almeno questo è quello che lo stesso Capezzone ha più
volte ripetuto. E d’altronde non ce lo si aspetterebbe di
certo da un uomo che del bipolarismo e del sistema
elettorale maggioritario puro ha fatto vessilli di una lunga
battaglia politica e referendaria.
E allora, viene da chiedersi,
“questa o quella” non sono pari per nulla? Al momento
parrebbe di sì, o quasi. Ma sembra piuttosto chiara
l’intenzione di Capezzone di far attecchire il seme del
liberalismo nei campi sterminati ma un po’ oziosi del
centrodestra. La delusione nei confronti del governo Prodi,
d’altronde, Capezzone non l’ha mai nascosta, fin dai primi
mesi di governo. Troppo titubante e timido, troppo
condizionato dai veti della sinistra radicale, l’esecutivo
prodiano non poteva soddisfare il liberale di razza
Capezzone, né frenare i suoi propositi quasi
“donchisciotteschi”. Mediaticamente ha saputo proporsi
piuttosto bene, sfruttando la proficua scuola radicale in
quanto a creazione dell’aspettativa. Buon gioco ha fatto
anche la grande stampa, già impegnata da alcuni mesi nella
battaglia per una rinnovata politica del “fare”, forte delle
recenti prese di posizione di Montezemolo.
Il 4
luglio è vicino (è casuale la coincidenza con l’Independence
Day americano?) e proprio quel giorno Capezzone presenterà
la sua “creatura” attraverso dieci punti che costituiranno
il vero e proprio programma politico-economico. I modelli da
seguire sono chiari: Rudolph Giuliani, Tony Blair, José
Maria Aznar e il giovane ministro svedese Anders Borg. I
riferimenti internazionali, dunque, potrebbero aiutarci a
capire la futura collocazione politica del gruppo
capezzoniano. Sembrerebbe, infatti, quasi una risposta
“repubblicana” all’esperimento “democratico” di Ds e
Margherita, per la costruzione di uno scacchiere partitico
in chiave bipolare e “americana”. Se così fosse, tuttavia,
bisognerebbe sentire cosa ne pensano Berlusconi, Fini e
Casini. Oppure l’ex enfant prodige di via di Torre Argentina
si sente così forte da poter distruggere il Tempio e
ricostruirlo in soli tre giorni?
(c)
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