“Sono convinto
che la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di
unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta le terra e di
portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto e ad aprirsi al Bene ed
al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”.
Queste sono parole di Papa Benedetto XVI, un teologo che viene da
quella Germania in cui anche nell’epoca più buia dell’ateismo di
Stato nei Länder orientali, la musica e l’educazione musicale sono
state sempre tenute in grande considerazione ed è stata un nesso con
l’Alto (come rievocato di recente da un film di successo sulla
polizia segreta, la Stasi). Nel leggerle, mi hanno richiamato alla
mente un ricordo lontano. Nel 1975, ero in missione in Etiopia –
all’epoca, trentatreenne, dirigevo una divisione in Banca Mondiale.
L’Impero abissino era già dilaniato da guerre civili, da siccità e
carestie. Dovetti andare, per ragione di servizio, a
Gondar, antica capitale sotto il regno dell'imperatore Fasilidas,
distesa sul lago Tana, ma allora ridotta a poco più di un villaggio,
con alcuni monumenti visitati da raro turismo di lusso. Vi era un
solo alberghetto, in effetti un ostello di proprietà statale,
spartano, ma in collina e con una terrazza sul lago. Naturalmente,
c’era ben poco da fare la sera; anche a ragione dell’altitudine e
della fievole lampadina nella mia stanza, alle 22 dormivo. Alle 5
del mattino ero in piedi e – sapevo che Gondar era tranquilla mentre
ad Addis Abeba infuriava il terrore – andai a sgranchirmi le gambe.
Scendendo verso il villaggio, il silenzio venne
all’improvviso rotto da un coro maschile che proveniva da
una grotta trasformata, come consueto nella tradizione
cristiana copta, in Chiesa rupestre. Era uno monodia a più
voci, prevalentemente bassi anche se alcuni passi erano
cantati da monaci più giovani con vocalità simili a quelle
dei nostri controtenori. Il testo e la partitura erano
scritti su un lungo rotolo in pergamena. Così nel
poverissimo insanguinato Impero (allora l’aspettativa di
vita alla nascita si aggirava sui 35 anni), i monaci di
Gondar viaggiavano dal Bene al Bello verso l’Alto cantando
le loro preci mattutine, accompagnati da alcuni semplici
strumenti a percussione ed a fiato. Non potevo certo
comprendere ciò che cantavano (era in antico aramaico), ma
la composizione aveva molto in comune con l’antico
Exsultet di Avezzano, forse la prima partitura rimastaci
(risale all’XI secolo), ascoltata a fine aprile a Roma in
una Basilica di Santa Maria Maggiore, affollata di
appassionati accorsi ad per ascoltare e vedere un'azione
sacra di canto gregoriano e ambrosiano. Dall'ambone il
diacono cantava l'Exsultet srotolando lentamente la
pergamena che era composta da un connubio di immagini,
parole e musica. Un repertorio antico, solo per pochi
fidelizzatissimi (per utilizzare il linguaggio dei
sociologi) alla musica sacra? Tutt’altro. Nel 2004,
l’associazione italiana più vivace di musica contemporanea,
Nuova Consonanza, ha dedicato alla “musica dello spirito”,
il suo festival autunnale annuale. È stato un evento
importante: il comune di Roma ha decurtato, per varie
ragioni, il proprio contributo a Nuova Consonanza ma a
sottolineare il rilievo (anche internazionale) dell’evento,
gli Istituti di Cultura in Italia di Belgio, Francia,
Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Stati Uniti hanno
ciascuno messo a disposizione fondi e soprattutto le loro
bellissime sedi (Villa Medici, Villa Aurelia, e simili)
perché non solo il festival si tenga ma vi partecipino
(senza differenza di fede) pure artisti stranieri.
Questa
estate tre festival italiani sono dedicati quasi interamente
alla musica dello spirito e consentono di effettuare un
viaggio dall’Undicesimo secolo dei canti di Gondar e
dell’Exsultet sino alla più sfrenata contemporaneità. Un
percorso a ritroso è quello che offre il festival “Creator”,
giunto alla terza edizione, che ha preso il via il 12 maggio
a Faenza e proseguirà fino all'8 luglio, toccando non solo
luoghi di grande rilievo artistico della Romagna (come la
Badia di Santa Maria del Monte a Cesena) ma anche Bologna e
Roma. La manifestazione è cominciata con un omaggio a don
Lorenzo Perosi, uno dei maggiori e più prolifici compositori
del Novecento storico italiano. L'esecuzione è affidata ai
solisti della Cappella Marciana, diretti da Jonathan
Pradella. La Missa Seconda Pontificalis, composta nel 1896,
è una partitura di fine Ottocento ma piena di pulsioni
novecentesche ben messe in risalto dall'orchestra e dai
solisti della Basilica di San Marco a Venezia. Il resto del
Festival è dedicato, in larga misura, alla figura di San
Filippo Neri. Dall'esecuzione delle laudi polifoniche
seicentesche di devozione mariana raccolte da Giovanni
Arancione alla prima esecuzione in tempi moderni dell'azione
drammatica (una vera e propria opera di argomento religioso)
del 1765 di Antonio Sacchini “L'abbandono delle ricchezze di
San Filippo Neri”, eseguita, con grande successo, a Roma il
25 maggio, con il complesso dell'Accademia Bizantina guidata
da Ottavio Dantone e a un cast vocale internazionale. In
luglio, nelle ultime manifestazioni del Festival si torna al
canto gregoriano. Un percorso a tema è, invece, quello che
propone il Ravenna Festival (dal primo giugno al 22 luglio).
Il tema è l’Apocalisse di San Giovanni, in particolare lo
scontro tra il Male della Babilonia terrena ed il Bene della
luminosa Gerusalemme celeste, costruita in “pietra di
diaspro”.
Si
intitola “Pietra di Diaspro” un’opera video di Adriano
Guarnieri , su testi di Paul Celan commissionata dal Teatro
dell’Opera di Roma e dal Ravenna Festival e che, dalla città
romagnola, dovrebbe iniziare un lungo viaggio in teatri
italiani e stranieri. Attraverso differenti linguaggi
artistici (suono, immagine, parola, danza) ed impiegando
live electronics, accanto a musica dal vivo sia vocale sia
strumentale (tra l’altro è stato creato appositamente un
flauto iperbasso dalla lunghezza di oltre 16 metri),
l’opera-video intende mostrare la situazione di spaesamento
e conflitto che attanaglia l’unità dopo il crollo delle
ideologie e delle utopie, attraverso un articolato
simbolismo che trova il proprio perno nel numero sette
(sette le parti principali in cui l’opera è composta, sette
i solisti vocali, sette le ombre, sette le arpe, e via
discorrendo). Le ideologie e le utopie – amava dire André
Malraux – hanno caratterizzato il Ventesimo secolo, mentre
il Ventunesimo secolo sarà quello delle religioni. Per
avvicinare i giovani, la musica come via del Bene e del
Bello verso l’Alto sposa la contemporaneità anche più
estrema, come nel “Kyrielle du sentiments des choses”, opera
da camera per cinque voci, piano e strumentazione
elettronica, dell’allora trentenne François Sarhan su testo
di Jacques Roubaud, che ha trionfato nel 2003 al Festival di
Aix-en-Provence ed ha avuto una fortunata tournée nei due
anni successivi.
Il
Ravello Festival (dal 29 giugno all’8 settembre) offre un
ricco calendario di eventi sullo sfondo degli scenari di
Villa Rufolo, Villa Cimbrone e molti altri scorci naturali e
architettonici della cittadina della costiera amalfitana. Il
tema prescelto come filo conduttore della è la
Passione. La manifestazione si articola in varie forme:
musica sinfonica, musica da camera, tendenze, passeggiate
musicali, cinemusic, arti visive, formazione. Nelle sezioni
musicali, un panorama vasto di lavori ispirati alla
Passione, principalmente dell’Ottocento e del Novecento
“storico” con qualche tocco al barocco ed alla
contemporaneità. Quindi, la musica come strada al Bene ed al
Bello per giungere all’Alto è più viva che mai.
(c)
Ideazione.com (2006)
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