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Studios di Hengdian, pianeta Chinawood
reportage di Elisa Borghi
[06 lug 07]


Bisogna aspettare solo che si avvicini la sera e gli ultimi turisti ritornino ai loro alloggi, e poi, in silenzio, camminare. Camminare lungo le strade sterrate, sbirciare dentro il tempio della Suprema Armonia e passare attraverso i mille portoni dipinti di rosso e oro fino a raggiungere il Palazzo dell’Imperatore. Solo allora, quando gli altoparlanti tacciono e anche l’ultima guida ha finito il turno, l’illusione è completa. E la copia appare reale, proprio come fosse l’opera originale. Non più bella, semplicemente uguale. Uguale in ogni dettaglio, in ogni colore, in ogni imperfezione del legno e soprattutto “grande” uguale. Solo i cinesi, con la loro mania di grandezza e la smania di impressionare il mondo con la quantità (che credono qualità), potevano pensare di ricostruire la Città Proibita in scala uno a uno, a mille e 500 chilometri da Pechino, per farne un set cinematografico. Agli ottimi scenografi di Cinecittà sarebbero bastate strutture leggere di legno e cartongesso e tanta fantasia per ricreare l’ambiente. Ma qui siamo ai World Studios di Hengdian, la cittadina nella provincia dello Zhejiang (poche centinaia di chilometri a sud di Shanghai), che aspira a diventare “Chinawood”, l’Hollywood di oriente, e si sta dando da fare per strappare all’indiana “Bolliwood” il primato di maggiore centro di produzione cinematografica dell’Asia.

A Hengdian nulla è ciò che appare. Ma ciò che appare è così perfettamente uguale al reale da disorientare. I set, ad esempio, non sono finte facciate sorrette da pali di legno dietro i quali c’è il nulla. Quaggiù non si scherza. Per ricreare un paese di epoca Ming sono state cercate, acquistate e poi smontate e trasportate pezzo a pezzo fino a Hengdian da mezza Cina le costruzioni originali di quel periodo, le case vere. Competitivi e desiderosi di primeggiare e di apparire come sono, i cinesi hanno capito l’importanza di sviluppare il settore cinematografico, e di portare con esso la Cina nel mondo, solo nel 1996, ma in poco più di un decennio hanno messo in piedi una struttura che toglie un poco di sacralità anche al tempio del cinema per antonomasia, Hollywood. Ai World Studios sono già stati girati più di diecimila tra film e serie tv, comprese alcune delle opere asiatiche più conosciute in Occidente come “Hero”, il film di Zhang Yimou nominato agli Oscar, “La promessa” di Chen Kaige, “la Guerra dell’Oppio” di Xie Jin e “Il velo dipinto”, una coproduzione sino-americana ambientata nella Cina degli anni Venti.

Se vi state chiedendo perché un produttore dovrebbe scomodarsi dagli Usa o dall’Europa per venire e girare quaggiù preparatevi a una risposta sorprendente. Xu Tianfu, il vicepresidente dello Hengdian Group elenca le condizioni economiche ed i servizi che a suo parere dovrebbero portare in Cina chiunque intenda fare anche un filmino di matrimonio. “Uno - dice Xu stringendo il pugno e aprendo il pollice - noi offriamo alloggio gratuito per tutti: attori, registi, cameramen, tecnici del suono… insomma, chiunque lavori al film è nostro ospite qui, a Hengdian”. “Due – prosegue sfoderando con orgoglio l’indice - l’uso dei set è gratuito”. Sorpresi, chiediamo di ripetere il secondo punto, perché non è affatto chiaro da dove vengano i profitti della struttura - 3 miliardi di Yuan (300 milioni di euro) nel 2006 - se i set, che sono il suo punto di forza, vengono offerti. Ma Xu ribadisce senza scomporsi. Infine, e siamo al dito medio, “a Hengdian c’è tutto, tutto per girare, montare, per gli effetti speciali, i rumori, ci sono gli attori, le comparse, le sarte e qualunque altra cosa serva per compiere l’opera dalla A alla Z, compresa una “sala autorizzazioni” in cui gli ufficiali della censura possono vedere il film per decidere se rilasciare il visto”.

La “sala autorizzazioni” si trova al piano interrato di questa struttura faraonica (nel complesso grande quanto 330 campi da calcio), è una stanzetta elegante con le pareti color salmone, la moquette grigia, uno schermo gigante, due file di poltrone in pelle bianca. Da lì, dice Xu poco volentieri, “devono passare tutti i film, anche le produzioni straniere”. Ne sanno qualcosa gli americani de “Il velo dipinto” che hanno dovuto tagliare varie scene di guerra e di protesta popolare perché bollate come “sovversive”. “Dettaglio” che i produttori stranieri dovrebbero conoscere e considerare prima di trasferirsi armi e bagagli quaggiù. Tanto quanto dovrebbero tenere a mente che in Cina, più che in qualsiasi altra parte del mondo, nessuno regala niente. Se i soldi, dunque, a Hengdian non si fanno con i set, sicuramente c’è un altro modo. A svelarlo, dopo oltre un’ora di conversazione, è un tecnico. “Qualsiasi macchina, dalla cinepresa al faretto - dice - viene affittata a giornata o ad ore”. È dunque il noleggio dell’attrezzatura la chiave del profitto degli Studios. Ma un buona fonte di reddito a Hengdian sono anche i turisti che entrano a 70 yuan (7 euro) al giorno e nel solo 2006 sono stati quasi 5 milioni. Un fenomeno destinato a crescere e che viene molto incoraggiato. Nella cittadina fioriscono alberghi di ogni categoria, ristoranti, parchi divertimento. E tutto, compreso le pompe di benzina, è di proprietà del Gruppo. Un colosso che ha diversificato nei settori chimico, farmaceutico, elettronico.

Da quando è nato, nel 1975, come fabbrica di seta, il Gruppo Hengdian di strada ne ha fatta, anche grazie alle capacità di Xu Wenrong, il presidente, che ne ha riconvertito più volte il business e nel 1993 è stato anche eletto deputato. Oggi il cinema cinese è nelle sue mani, è un monopolio gestito dal governo e da Xu Wenrong e non c’è spazio per l’improvvisazione. Le produzioni straniere non possono superare le venti unità all’anno e devono essere di alta qualità. Per il mercato interno, particolare importanza viene data invece alle serie e ai film di soggetto storico. In una Cina che nella sua rincorsa alla modernità si sente sempre più spaesata e va perdendo le sue radici l’industria del cinema tenta di dare ai cinesi un passato in cui riconoscersi e identificarsi. Un passato mitico e glorioso, in cui la potenza emergente trovi spunti per le sue nuove gesta di grandezza. E che ha anche il pregio di essere approvato dalla “sala autorizzazioni”.

(c) Ideazione.com (2006)
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