Bisogna
aspettare solo che si avvicini la sera e gli ultimi turisti
ritornino ai loro alloggi, e poi, in silenzio, camminare. Camminare
lungo le strade sterrate, sbirciare dentro il tempio della Suprema
Armonia e passare attraverso i mille portoni dipinti di rosso e oro
fino a raggiungere il Palazzo dell’Imperatore. Solo allora, quando
gli altoparlanti tacciono e anche l’ultima guida ha finito il turno,
l’illusione è completa. E la copia appare reale, proprio come fosse
l’opera originale. Non più bella, semplicemente uguale. Uguale in
ogni dettaglio, in ogni colore, in ogni imperfezione del legno e
soprattutto “grande” uguale. Solo i cinesi, con la loro mania di
grandezza e la smania di impressionare il mondo con la quantità (che
credono qualità), potevano pensare di ricostruire la Città Proibita
in scala uno a uno, a mille e 500 chilometri da Pechino, per farne
un set cinematografico. Agli ottimi scenografi di Cinecittà
sarebbero bastate strutture leggere di legno e cartongesso e tanta
fantasia per ricreare l’ambiente. Ma qui siamo ai World Studios di
Hengdian, la cittadina nella provincia dello Zhejiang (poche
centinaia di chilometri a sud di Shanghai), che aspira a diventare
“Chinawood”, l’Hollywood di oriente, e si sta dando da fare per
strappare all’indiana “Bolliwood” il primato di maggiore centro di
produzione cinematografica dell’Asia.
A
Hengdian nulla è ciò che appare. Ma ciò che appare è così
perfettamente uguale al reale da disorientare. I set, ad
esempio, non sono finte facciate sorrette da pali di legno
dietro i quali c’è il nulla. Quaggiù non si scherza. Per
ricreare un paese di epoca Ming sono state cercate,
acquistate e poi smontate e trasportate pezzo a pezzo fino a
Hengdian da mezza Cina le costruzioni originali di quel
periodo, le case vere. Competitivi e desiderosi di
primeggiare e di apparire come sono, i cinesi hanno capito
l’importanza di sviluppare il settore cinematografico, e di
portare con esso la Cina nel mondo, solo nel 1996, ma in
poco più di un decennio hanno messo in piedi una struttura
che toglie un poco di sacralità anche al tempio del cinema
per antonomasia, Hollywood. Ai World Studios sono già stati
girati più di diecimila tra film e serie tv, comprese alcune
delle opere asiatiche più conosciute in Occidente come
“Hero”, il film di Zhang Yimou nominato agli Oscar, “La
promessa” di Chen Kaige, “la Guerra dell’Oppio” di Xie Jin e
“Il velo dipinto”, una coproduzione sino-americana
ambientata nella Cina degli anni Venti.
Se vi
state chiedendo perché un produttore dovrebbe scomodarsi
dagli Usa o dall’Europa per venire e girare quaggiù
preparatevi a una risposta sorprendente. Xu Tianfu, il
vicepresidente dello Hengdian Group elenca le condizioni
economiche ed i servizi che a suo parere dovrebbero portare
in Cina chiunque intenda fare anche un filmino di
matrimonio. “Uno - dice Xu stringendo il pugno e aprendo il
pollice - noi offriamo alloggio gratuito per tutti: attori,
registi, cameramen, tecnici del suono… insomma, chiunque
lavori al film è nostro ospite qui, a Hengdian”. “Due –
prosegue sfoderando con orgoglio l’indice - l’uso dei set è
gratuito”. Sorpresi, chiediamo di ripetere il secondo punto,
perché non è affatto chiaro da dove vengano i profitti della
struttura - 3 miliardi di Yuan (300 milioni di euro) nel
2006 - se i set, che sono il suo punto di forza, vengono
offerti. Ma Xu ribadisce senza scomporsi. Infine, e siamo al
dito medio, “a Hengdian c’è tutto, tutto per girare,
montare, per gli effetti speciali, i rumori, ci sono gli
attori, le comparse, le sarte e qualunque altra cosa serva
per compiere l’opera dalla A alla Z, compresa una “sala
autorizzazioni” in cui gli ufficiali della censura possono
vedere il film per decidere se rilasciare il visto”.
La
“sala autorizzazioni” si trova al piano interrato di questa
struttura faraonica (nel complesso grande quanto 330 campi
da calcio), è una stanzetta elegante con le pareti color
salmone, la moquette grigia, uno schermo gigante, due file
di poltrone in pelle bianca. Da lì, dice Xu poco volentieri,
“devono passare tutti i film, anche le produzioni
straniere”. Ne sanno qualcosa gli americani de “Il velo
dipinto” che hanno dovuto tagliare varie scene di guerra e
di protesta popolare perché bollate come “sovversive”.
“Dettaglio” che i produttori stranieri dovrebbero conoscere
e considerare prima di trasferirsi armi e bagagli quaggiù.
Tanto quanto dovrebbero tenere a mente che in Cina, più che
in qualsiasi altra parte del mondo, nessuno regala niente.
Se i soldi, dunque, a Hengdian non si fanno con i set,
sicuramente c’è un altro modo. A svelarlo, dopo oltre un’ora
di conversazione, è un tecnico. “Qualsiasi macchina, dalla
cinepresa al faretto - dice - viene affittata a giornata o
ad ore”. È dunque il noleggio dell’attrezzatura la chiave
del profitto degli Studios. Ma un buona fonte di reddito a
Hengdian sono anche i turisti che entrano a 70 yuan (7 euro)
al giorno e nel solo 2006 sono stati quasi 5 milioni. Un
fenomeno destinato a crescere e che viene molto
incoraggiato. Nella cittadina fioriscono alberghi di ogni
categoria, ristoranti, parchi divertimento. E tutto,
compreso le pompe di benzina, è di proprietà del Gruppo. Un
colosso che ha diversificato nei settori chimico,
farmaceutico, elettronico.
Da
quando è nato, nel 1975, come fabbrica di seta, il Gruppo
Hengdian di strada ne ha fatta, anche grazie alle capacità
di Xu Wenrong, il presidente, che ne ha riconvertito più
volte il business e nel 1993 è stato anche eletto deputato.
Oggi il cinema cinese è nelle sue mani, è un monopolio
gestito dal governo e da Xu Wenrong e non c’è spazio per
l’improvvisazione. Le produzioni straniere non possono
superare le venti unità all’anno e devono essere di alta
qualità. Per il mercato interno, particolare importanza
viene data invece alle serie e ai film di soggetto storico.
In una Cina che nella sua rincorsa alla modernità si sente
sempre più spaesata e va perdendo le sue radici l’industria
del cinema tenta di dare ai cinesi un passato in cui
riconoscersi e identificarsi. Un passato mitico e glorioso,
in cui la potenza emergente trovi spunti per le sue nuove
gesta di grandezza. E che ha anche il pregio di essere
approvato dalla “sala autorizzazioni”.
(c)
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