Il 10 luglio,
il “Club dell’Economia”, un circolo di editorialisti economici e
docenti universitari, conferisce il Premio Tarantelli per la
migliore idea economica dell’anno a Pietro Ichino per il suo
semplice ma tagliente ed eloquente slogan “licenziare i fannulloni”.
La cerimonia di conferimento del premio è la sola iniziativa del
Club aperta al pubblico e si svolge nell’auditorium della Bnl di
piazza Albania a Roma. I commenti all’idea-provocazione di Ichino
hanno riguardato principalmente la sua desiderabilità specie nella
pubblica amministrazione (dove l’assenteismo e la fannulloneria
dilagano). Pochi hanno messo in risalto la sua fattibilità. È ora
possibile attuarla, darle corpo perché – come scrive un quotidiano
francese tradizionalmente a sinistra del centro - siamo giunti “alla
fine della disoccupazione di massa”. Le cifre parlano chiaro: stanno
predisponendo la legge finanziaria e le riforme in materia di
mercato del lavoro e previdenza. In primo luogo, all’ultima conta
(fine aprile), in Europa (tanto la zona dell’euro quanto l’insieme
dell’Ue a 27), il numero di coloro alla ricerca di lavoro (nel
lessico giornalistico il tasso di disoccupazione) è sceso al 7,1 per
cento delle forze di lavoro (due punti percentuali in meno rispetto
a quanto registrato due anni fa).
L’Italia è entrata a buon diritto tra i paesi con un tasso
di disoccupazione moderato (il 6,2 per cento a livello
nazionale ma concentrato nel Mezzogiorno e nei bacini a
riconversione industriale nel centro-Nord). In Francia il
tasso di disoccupazione è ancora l’8,6 per cento della forza
lavoro, ma, per la prima volta in 25 anni, è sceso, in
termini assoluti, al di sotto di due milioni di di persone.
La Polonia e l’Estonia contano nell’Ue tassi di
disoccupazione più alti di quello della Francia. Ancora
maggiore il successo segnato in Germania: si è passati dai 5
milioni di disoccupati nell’aprile 2005 ai 3,7 all’ultima
rilevazione: la disoccupazione diminuisce, senza sosta ogni
mese da 15 mesi. Quindi, né le nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione né il processo di
integrazione economica internazionale hanno creato in Europa
quella disoccupazione di massa, senza alternative concrete
di politica economica ed industriale, temuta una decina di
anni fa. Si pensi, ad esempio, alla visione apocalittica
della raccolta di saggi “Disoccupazione di fine secolo”,
curata da Pierluigi Ciocca, e nata in gran misura
nell’ambito del servizio studi della Banca d’Italia alla
metà degli anni Novanta.
In
secondo luogo, non è tutto oro – è vero - ciò che luccica.
L’Employment Outlook dell’Ocse, pubblicato a
fine giugno, sottolinea che a partire dal 1995 sono
aumentate in misura considerevole le differenze salariali
(specialmente se computate sulla base del netto in busta
paga). Per questo motivo, c’è un crescente interesse (anche
in Italia) nei confronti della “flexsecurity”: lavoratori e
sindacati dovrebbero essere pronti a rinunciare alla
sicurezza nel posto di lavoro specifico per una maggiore
sicurezza nel mercato del lavoro in generale accompagnata da
ammortizzatori e passerelle per transitare da un impiego
all’altro. Tuttavia, è sempre l’Employment Outlook
dell’Ocse a ricordare come “un’altra strada possibile
consiste nel rendere più flessibili le normative sul
lavoro”. In terzo luogo, non è soltanto l’Ocse ma anche
l’esclusivo Cercle des Economistes francese (un circolo –
occorre rammentarlo – in generale a sinistra del centro) a
riconoscere come l’allontanamento dello spettro della
disoccupazione di massa debba attribuirsi alle riforme in
senso liberale del mercato del lavoro. Quelle già fatte in
Italia ed in Germania. Quelle di cui la Francia ha mutuato
alcuni istituti (quali il contratto di primo impiego) tre
anni fa e che il nuovo esecutivo si appresta ad estendere ed
approfondire con una normativa di urgenza che dovrebbe
essere varata prima delle vacanze estive dell’Assemblea
Nazionale.
(c)
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