Se una
farfalla batte le ali in Giappone, in Australia potrebbe esserci un
maremoto. Se le foreste della Svezia aumentano è - anche - perché la
Cina si prepara a lanciare la più grande rivoluzione edilizia dei
tempi moderni. Miracoli della globalizzazione di un piccolo pianeta.
Ma anche colpi di scena che solo un popolo come quello cinese,
determinato e pronto a buttarsi dietro le spalle il passato per
votarsi al nuovo, può riservare. La sorpresa del giorno è che in
Cina l’età del cemento armato è finita. E ci si prepara ad entrare
in quella del legno. Vale a dire che in un futuro assai prossimo
muri e pavimenti saranno costituiti da tronchi d’albero. E le città
avranno dunque un aspetto completamente diverso da quello attuale.
Inverosimile? Niente affatto. “I progetti dei nuovi grattacieli -
perché di grattacieli si continua a parlare, il cambio di materiale
non implicherà una riduzione dell’altezza degli edifici - aspettano
solo di uscire dai cassetti degli architetti.
Gli
studi di fattibilità, di resistenza al fuoco, dei punti di
collasso e cedimento del legno ove sottoposto a pressioni di
vario tipo e a catastrofi naturali, come alluvioni o
terremoti, sono pronti da tempo. Gli svedesi,
all’avanguardia nel settore, hanno messo a disposizione dei
partner asiatici il loro know-how. E non sono i soli esperti
ad essere stati interpellati”. A parlare è Lars Westerlund
un documentarista di Copenaghen esperto in architettura e
venuto ad Hang Zhou, la capitale della ricca provincia
orientale dello Zhejiang, proprio per realizzare una serie
di filmati su questo tema, piuttosto “caldo” e dibattuto nel
suo paese. Già, perché il giro d’affari legato al nuovo
business si prospetta enorme. Gli svedesi lo hanno compreso
per tempo e hanno investito non solo nell’incremento delle
aree forestali ma anche nella ricerca relativa ai prodotti
che servono a rendere il legno adatto all’edilizia, a
colorarlo, rivestirlo, impermeabilizzarlo e isolarlo in modo
che sia resistente al fuoco. Le loro relazioni commerciali
con la Cina, poi, sono già ottime, anche perché in Svezia è
permessa l’importazione di prodotti privi del marchio CE,
che attesta la rispondenza a certi standard di qualità e
sicurezza, e quindi il paese acquista davvero di tutto
dall’Impero di mezzo. Resta un solo, grande ostacolo da
superare prima di poter inaugurare i primi cantieri della
nuova era. I muratori non hanno idea di come si costruiscano
le case con il legno. Non conoscono la tecnica.
È
dunque colpa della manovalanza se, nonostante tutto sia già
pronto a livello teorico e progettuale, i cantieri non si
potranno ancora aprire per qualche tempo. E la Cina dovrà
pazientare almeno un anno prima di cominciare a darsi il
nuovo volto che tanto desidera. Un volto che non è una copia
dell’Occidente. Ma è espressione di una scelta originale, è
figlio della cultura di un popolo che per secoli ha vissuto
cercando l’armonia con la natura e oggi è stanco degli
ambienti asfittici e dei grattacieli grigi che chiudono
l’orizzonte. Gli abitanti delle grandi aree urbane e delle
province più industrializzate del paese, quelle in cui
l’edilizia negli ultimi anni ha conosciuto un boom senza
precedenti, odiano il cemento per almeno due motivi. Il
primo è l’insofferenza estetica per uno stile architettonico
in cui non si riconoscono e che non li ha mai convinti fino
in fondo perché è stato adottato in maniera acritica in
quanto simbolo di modernità e potere. Il secondo è il
velenoso contributo dei cantieri edilizi tradizionali
all’inquinamento di un’aria già resa irrespirabile dai gas
di scarico di milioni di automobili e che il continuo
abbattimento e rifacimento dei palazzi riempie di particelle
di polvere sottile, responsabili di un aumento esponenziale
dei casi di malattia alle vie respiratorie. Il ritorno al
legno potrebbe essere anche un passo verso uno sviluppo più
sostenibile della potenza cinese. E di certo lo sarà se a
fornire la materia prima saranno paesi come la Svezia,
attenti all’ambiente e alla riforestazione. Certo che se per
costruire la nuova Shanghai si dovesse potare la foresta
amazzonica il restyling dell’Impero di mezzo si tramuterebbe
in una sciagura senza pari. E un lifting non vale certo un
disastro ecologico.
(c)
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