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Verdiglione, filosofia d'impresa
intervista ad Armando Verdiglione di Stefano Magni
[18 lug 07]


“La nostra salute è la bussola della nostra vita, la vera istanza di qualità, quando la rotta come istanza intellettuale si affina e si precisa nell'atto di parola”. Così lo psicanalista, imprenditore ed editore Armando Verdiglione sintetizza il contenuto del suo ultimo volume, “ La nostra salute”, edito da Spirali. Lo abbiamo incontrato nel suo studio a Milano, per parlare dei suoi ultimi due saggi, “Il capitale della vita” e, appunto, “La nostra salute”, dai quali emerge una visione della vita e dell’intraprendenza umana che affonda le sue radici nel Rinascimento, in cui viene accantonata la classica dicotomia mente/corpo ed emerge, quale figura caratteristica della società, l’imprenditore, che è, al tempo stesso, intellettuale e uomo di azione.

L’imprenditore, ci spiega Verdiglione, “stabilisce il progetto e il programma, sia della sua impresa che della sua vita stessa. L’imprenditore muove da audacia e rischio. Sembra che l’audacia muova dal coraggio, ma il coraggio, che è l’altra faccia della paura, nega l’audacia. E così il rischio sembra che riguardi la modestia o l’arroganza, invece queste ultime negano il rischio e negano l’umiltà. E per umiltà intendo la disposizione all’ascolto. Leonardo Da Vinci e Machiavelli sostengono che l’essenziale sia il disporsi all’ascolto. Questo è diventato un assioma per San Carlo Borromeo, che considera l’humilitas la disposizione all’ascolto. Sembra sempre che ascoltare sia complesso, ma è la sola via alla semplicità. L’imprenditore non si mette a confronto con le sue idee, che risultano freni e pregiudizi, ma il confronto non è nemmeno con l’altro, perché sarebbe sempre con il proprio fantasma. Il confronto è con la solitudine, con l’ostacolo assoluto. Ed è questo ostacolo assoluto che è la condizione della riuscita. Questa è la fede, fede che l’uomo non sa di avere, una fede, senza alternativa, nella riuscita.

Si può credere che il procedere sia un’alternativa, che incombe come un’ombra, tra il bene e il male, per cui si deve conoscere il male per economizzarlo e fare il bene (il bene come sintesi superiore dell’ideale). E ciò è ragione di ricordi, di memorie come reminiscenze o commemorazioni, come qualcosa che pesa e grava sulla sua vita. Ora: il viaggio dell’imprenditore è anche il viaggio della sua impresa. E non si tratta di un viaggio circolare, fatto di evoluzioni e involuzioni, come viene detto spesso, ma ciò che sta dinnanzi è un’ipotesi, talvolta molto azzardata, un qualcosa che risponde all’estremo calcolo, ma talvolta anche all’incalcolabile ed è questo che lo porta alla riuscita. Il rischio è il rischio della riuscita. Se invece l’alternativa è tra vita e morte, il rischio si converte in pericolo di morte e allora vale il discorso occidentale: l’imprenditore è in balia della paura della morte e la sua impresa è attraversata da mille pericoli. E allora fa ricorso ai consulenti come se fossero dei salvatori, ma i consulenti sono come medici: li si deve consultare, ma la decisione spetta al paziente, perché è una decisione che riguarda la propria vita e non deve essere delegata. In un’azienda, chi deve prendere le decisioni è l’imprenditore, perché la responsabilità è sempre sua. Spetta a lui la direzione, soprattutto la direzione intellettuale e questo pervade la gestione di tutto il resto. La direzione intellettuale è un processo di valorizzazione della memoria, la memoria dell’azienda, che diventa un patrimonio, e la memoria dell’imprenditore di arte e di invenzione, la memoria che si scrive e si valorizza. Accanto al registro delle cose che si cercano e che si fanno, si deve tenere un registro intellettuale e un dispositivo intellettuale. In fin dei conti i veri asset dell’azienda sono quelli intellettuali. Ci sono sicuramente macchinari, immobili… ma gli asset veri, essenziali, qualificanti, sono i dispositivi intellettuali”.

Lei ha parlato di due forme di memoria: una memoria fatta di ricordi ed un’altra che costituisce una ricchezza. Qual è la differenza tra le due definizioni?
La memoria può essere affrontata, secondo il discorso generale, come se fosse una facoltà mnemonica e quindi il ‘poter’ ricordare, il ‘dover’ ricordare, il ‘saper’ ricordare e il ‘voler’ ricordare. In fin dei conti la memoria è sottoposta alla volontà, alla volontà di bene, quindi sottoposta alla causa finale: al finalismo cosmico. E questa è la memoria circolare: una memoria sottoposta all’idea di origine, di ritorno. Poi c’è la memoria originaria, che ha un’idea originaria, ma non un’idea di origine. Un po’ come Leonardo Da Vinci: l’esperienza originaria non va sottovalutata, degradata, messa su un piano secondario rispetto all’origine. La memoria, dal Rinascimento in poi, è ‘memoria dell’avvenire’, è ricerca e invenzione: è l’esperienza originaria. In questo senso la memoria diviene un processo di valorizzazione.

Ma in che modo l’uomo dovrebbe relazionarsi con la morte, non potendo evitarla?
Il tema del rapporto tra l’uomo e la morte è proprio del discorso occidentale. L’uomo è definito dalla morte, formalmente costituito dal linguaggio. L’uomo diventa soggetto del ‘cogito’ platonico, del ‘cogito’ cartesiano, del ‘cogito’ husserliano. L’unica libertà riconosciuta all’uomo è quella di morire, è soggetto alla morte. Il soggetto diventa la morte. La libertà diventa la morte. E questo è terrorismo puro, che va avanti da Platone sino ad oggi. E’ il vero fondamentalismo: lo stesso a cui si rifanno i Talebani, che vanno contro tutto ciò che è opera della mano, mentre loro sono favorevoli solo a ciò che è opera dello spirito. E’ la stessa distinzione che c’è tra l’arte liberale e l’arte meccanica. Anche oggi, nei luoghi comuni, resiste questo dualismo tra l’intellettuale e l’imprenditore, che o è intellettuale o è imprenditore. Come se quella degli intellettuali fosse una casta. Con il Rinascimento questa distinzione viene abolita: la mano è intellettuale, il manovale è intellettuale. Non esiste alcun gesto che non possa dirsi intellettuale. Costruire una casa, cucinare, pulire la strada: sono tutti gesti intellettuali. L’intellettualità non può togliersi dall’impresa. Nel dualismo platonico, invece, si tende a creare una struttura ideologica che possa essere propria di una casta e che possa dominare su tutto il resto. Nella vita, nella parola, non c’è classe, non c’è l’insieme come tale. La creazione di un’ideologia di classe e di casta porta con sé enormi conseguenze, politiche, finanziarie ed economiche. La trasformazione essenziale di ciascun paese è culturale. Poi viene la trasformazione economica e poi politica.

Che cosa intende per “Nostra salute”?
La ‘Nostra salute’ è il titolo del libro. Il libro è ciò che si scrive della memoria. Questo libro è anche testo e questo testo si chiama ‘La nostra salute’. Bisogna distinguere tra la sanità e la salute? La sanità è l’istanza di proprietà intellettuale lungo il viaggio. La salute è l’istanza della qualità intellettuale. Proprietà e qualità intellettuale segnano questa distinzione tra sanità e salute. Niente a che vedere con il concetto di salute pubblica, quando lo Stato onnipresente monopolizza il compito di salvare i cittadini, sulla base di una sua idea del bene. I cittadini sono considerati come soggetti. L’illuminismo vuole sia lo Stato che i cittadini come soggetti e, se sono soggetti, sono tutti virtualmente malati e moribondi. Sono tutti malati terminali e sono tutti valutati in base al riferimento alla morte. E allora la salute pubblica è la gestione della vita e della morte. Nessuno deve fare questa delega, né allo Stato, né al medico. Certamente si può consultare il medico, ma è il paziente che deve prendere le decisioni sulla sua salute. E’ il cervello stesso che è dispositivo di salute. Questa è la distinzione tra Protagora e Platone: è il cervello che guida la salute o il pathos? Se la salute dipende dal pathos allora è salute mentale, è salvezza. Il governante si pone come medico e salvatore. Platone si poneva come filosofo, come medico e come salvatore: l’unico in grado di salvare la polis. Lo stesso canone a cui fanno riferimento tutti coloro che parlano di costituzione, anche se la costituzione pare aver avuto (ma non è così) un’accezione nuova durante l’Illuminismo.

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