Una prima
considerazione di ordine generale: la rottura riformatrice imposta
dalla Thatcher sta ancora producendo benefici effetti sulla politica
britannica. Dopo aver provocato la trasformazione – perfettamente
riuscita – del labour, oggi sta provocando, come reazione al
successo politico di Blair, la trasformazione e la modernizzazione
dei tories. Un sistema politico fondato sulla competizione vera è un
sistema che sviluppa innovazione. La vera e propria rivoluzione dei
conservatori britannici che David Cameron sta guidando si presta
naturalmente a critiche e offre il fianco a dubbi sulla sua
“autenticità” e sulla sua solidità. Il mio riflesso, conservatore,
è, ad esempio, quello di guardare con sospetto l’apparente (o
effettivo?) declassamento della questione tasse. Qui, però, mi è
stato assegnato un tema preciso: Zapatory? È chiaro che proprio
sulla questione, diciamo così, diritti civili come sulla questione
ambientale e su quella della globalizzazione e della povertà globale
Cameron gioca più spregiudicatamente il rinnovamento dell’immagine
del partito. Un partito che era divenuto così impopolare che nei
sondaggi se una politica si dimostrava popolare, nel momento in cui
veniva associata ai tory perdeva di appeal. Molti sostengono che
questo cambiamento sia solo di facciata e che sia solo “tollerato”
dai maggiorenti del partito. Ma se Cameron dovesse vincere – come
oggi appare possibile – anche o soprattutto sull’onda di questa
trasformazione, è difficile che poi i conservatori possano tornare
indietro. Un po’ come accaduto al labour della “clause four” sulla
nazionalizzazione.
La
chiave dei diritti civili è quella che obbliga, dall’Italia,
a guardare alla destra di Cameron in modo assai
problematico, visto che le sue posizioni sono opposte o
comunque alternative a quelle maggioritariamente (quasi
unanimemente) prevalenti nei partiti del centro-destra
italiano. Con questo non intendo dire che le pozioni del
centrodestra italiano siano del tutto assenti negli
schieramenti conservatori del mondo civile (e anche tra i
conservatori britannici). Ma sono, in genere, o pesantemente
minoritarie, oppure – e penso al partito conservatore
americano – maggioritarie secondo proporzioni assai
inferiori a quelle che si registrano in Italia. Soprattutto,
non vi è luogo in cui esercitino quella sorta di monopolio
culturale che in Italia è ad esse assegnato, in virtù del
fatto che rifletterebbero compiutamente le convinzioni del
“mondo cattolico”. Nell’America di Bush, con il Congresso
ancora saldamente in mano ai conservatori, il presidente ha
dovuto usare il veto per impedire l’entrata in vigore di
leggi che finanziavano con fondi federali la sperimentazione
su embrioni (leggi votate da almeno un terzo dei
parlamentari repubblicani, oltre che dai democratici). E
nessuno, neppure il presidente Bush, ha mai pensato davvero
possibile realizzare quel bando generalizzato alla
sperimentazione su embrioni introdotto in Italia con la
legge 40. Il centrodestra italiano, dunque, fa eccezione.
Fortunatamente, diranno molti di quanti ritengono normale
che un’intera coalizione politica, sui temi civili, funzioni
sostanzialmente in “outsourcing”, come se al proprio interno
non sapesse, potesse o volesse trovare soluzioni diverse da
quelle legittimamente suggerite dall’episcopato cattolico.
Ma
questa eccezionalità (o questa anomalia) pone comunque delle
domande ed esige delle risposte. Dobbiamo in primo luogo
interrogarci per capire se quello di Cameron (e di Sarkozy e
persino della Merkel, per non parlare di Rudolph Giuliani) è
un cedimento alla sinistra (e ai cliché del
progressismo civile e sociale) a cui il centrodestra
italiano deve eroicamente resistere, oppure se è lo
schieramento liberale e moderato italiano a dimostrare un
arroccamento della destra, a cui la sua classe dirigente
deve urgentemente porre rimedio. Mi rendo conto che la
semplificazione può apparire brutale, ma in fondo il
problema si pone proprio in questi termini. Ed eludere la
questione, come se sui temi delle libertà individuali e del
loro riconoscimento giuridico si potesse imporre una
sospensione del giudizio, non sarebbe politicamente serio,
neppure dal punto di vista intellettuale. Non possiamo
pensare che il centrodestra italiano sia un’“isola” dove non
arriva mai il vento del “continente” conservatore. In
secondo luogo, dobbiamo comprendere se le posizioni civili
di Cameron abbiano principi del tutto indipendenti dal
complesso della sua dottrina neo-conservative, o se
invece ne siano uno svolgimento logico e coerente. Io, che,
come è noto, non sono imparziale, perché su questi temi ho
posizioni da mosca bianca o da pecora nera – a volte
pericolosamente libertarie – penso che alle due questioni
che ho posto occorra dare una risposta molto critica (molto
autocritica) rispetto alle posizioni del centrodestra
italiano; che occorra denunciare l’illusione di chi pensa
praticabile, se non altro per “necessitate” ragioni di
opportunità, un liberalismo a geometria variabile,
rigidamente applicato nei campi economico-sociale e
politico-istituzionale e invece disapplicato e “disconnesso”
sui temi “sensibili” delle libertà civili. Cameron – ma non
solo lui – dimostra come la gran parte della destra del
mondo libero e sviluppato sia riuscita ad uscire
dall’equivoco che la vuole contro il progresso, perché
anti-progressista, e tradizionalista, perché rispettosa di
una tradizione immutabile anziché viva e vitale. Il
“conservatorismo” moderno è quello che invece riesce a
contrapporre (e non ad associare) il progresso e il
progressismo, la tradizione e il tradizionalismo. Scegliendo
i primi e rifuggendo gli “ismi”. Il progressismo è un ideale
pedagogico affidato alle armi del Leviatano statale; è
l’indirizzo che il potere ritiene di dare alla vita della
società e degli individui; è, per definizione, il Bene che
la cura responsabile della politica, in virtù della sua
superiore saggezza, ritiene di assicurare alla vita della
società, interpretando lo spirito dei tempi.
Cameron si muove esattamente al contrario; in fondo critica
Blair e il blairismo (a cui pure molto somiglia) per non
avere valorizzato le forme spontanee di iniziativa sociale e
per averne sottovalutato le potenzialità politiche. Per
avere puntato sì sul mercato ma poco sulla società. Per non
avere a sufficienza investito sui corpi sociali come fattore
di coesione e di tenuta. In questo Cameron dal punto di
vista ideologico rompe forse più con la Thatcher (la quale
aveva però di fronte una Gran Bretagna assai diversa in cui
non si poteva/doveva giocare di fioretto ma di sciabola) che
con Blair. Ma comunque siamo agli antipodi esatti del
progressismo. Cameron è quello che in Italia definiremmo un
convinto “sussidiarista”. Ma, per stare al nostro tema, è
proprio questa idea dell’autonomia sociale (quest’idea che
non sia il potere a dovere spiegare alla società e agli
individui come essi devono essere e comportarsi) a spingere
Cameron, ad esempio, a combattere sul piano politico quel
residuo stigma di “innaturale anormalità” che
l’omosessualità come condizione personale e civile sta ormai
decisamente perdendo sul piano sociale.
Questa
cosa apparentemente molto “veltroniana” che Cameron sta
facendo – proporre alle prossime elezioni collegi sicuri ai
dirigenti tories dichiaratamente gay, e favorire l’ascesa di
una lesbica dichiarata alla vicepresidenza del partito – in
realtà riflette l’esigenza di rappresentare in modo
eloquente che la politica ha capito la lezione della
società. Come a dire che se è vero che la politica non
deve stare, pedagogicamente, un passo avanti alla società,
non può neppure sempre rimanere un passo indietro. Lo stesso
si dica sul rapporto tra tradizione e tradizionalismo. E
continuo a usare come esempio e termine di paragone il tema
della cosiddetta “questione omosessuale” proprio perché
essa, malgrado i Dico, resta urgentemente inscritta
nell’agenda della politica italiana. Un vero “destro”
liberale, oggi, non dovrebbe avere nessun problema ad
accogliere come “frutto della tradizione” il fatto che le
relazioni omosessuali siano uscite dal ghetto della
discriminazione giuridica e della riprovazione morale, per
divenire forme tutt’altro che irregolari di organizzazione
sociale e persino familiare.
Proprio in nome di una tradizione concreta, contrapposta ad
un tradizionalismo astratto e pericoloso quanto il
progressismo, Cameron capisce che il riconoscimento
giuridico delle coppie omosessuali (e in Inghilterra vi è
una legge quasi zapateriana) risponde all’evoluzione
della nostra tradizione, non ad una “macchinazione” o ad un
attentato contro di essa. Cameron fa quello che il
centrodestra italiano sembra voler rifiutare di fare:
contendere al centrosinistra il monopolio delle domande e
delle risposte sulle questioni “eticamente sensibili”, ed in
particolare sulle questioni per le quali la Chiesa esprime
posizioni particolarmente rigide. Contendere il monopolio
significa proporre soluzioni diverse, spesso alternative; di
segno liberale anziché statalista. E questo, per capirci,
vale sulla famiglia come sull’eutanasia. Le aperture di
Cameron sono condizionate da un calcolo elettorale oltre che
da una scelta politica? Sicuramente sì. Ma questo è un
ulteriore elemento di riflessione per il centrodestra
italiano, che ritiene “normale” ostentare la propria assenza
e distanza da una piazza come quella del Gay Pride, gremita
dello stesso ordine di grandezza di quella del Family Day.
La seconda era una piazza bipartisan, la prima, per volontà
del centrodestra, una piazza – salvo una eccezione – tutta
di centrosinistra.
Per
concludere, penso insomma che si possa, senza offesa per
nessuno, dire che Cameron ha ragione e non è un leftist
travestito. Anzi, che Cameron ha ragione – e il
centro-destra italiano torto - proprio perché non lo è, e
perché così dimostra che si può apparire pericolosamente
libertari pur rimanendo onestamente conservatori.
*Intervento di Benedetto Della Vedova a "Dopo Blair. Cameron e la sfida dei nuovi conservatori", convegno organizzato dalla Fondazione Fare Futuro il 3 luglio scorso.
(c)
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