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FAME, Le armi
spuntate della fao
Il vertice Fao a Roma è chiamato a
fronteggiare il drammatico allargarsi della crisi alimentare mondiale. Ma le
voci scettiche ormai non sono più isolate.
di ANGELO M. D'ADDESIO
[04 giu 08]
“E’ tempo di azioni e non di parole”. E’ la frase chiave del
messaggio di saluto del presidente del Consiglio Berlusconi, che ha
ricalcato i precedenti appelli del direttore generale della Fao Diouf e del
capo dello Stato italiano Napolitano, a significare come in questi anni alle
parole non siano seguiti i fatti ed i numeri ne sono chiara testimonianza.
Il summit Fao di Roma, che è iniziato ieri e si concluderà il 5 giugno, era
stato programmato per il tema “Bioenergie e sicurezza alimentare” ed invece
è obbligato a discutere della più ampia crisi alimentare degli ultimi anni,
che coinvolge 862 milioni di persone. Una cifra che non è mai cambiata dal
1992 e che, anzi, si prevede aumenti di 4 milioni ogni anno, in barba alle
promesse Fao ed Onu di dimezzarla entro il 2015. Nell’Africa
sub-equatoriale, la zona mondiale più povera, le persone sottoalimentate
sono più di 210 milioni, ma la crisi si è allargata a macchia d’olio, anche
in America Latina (dove è caduto il governo haitiano dopo settimane di
proteste) e nel sud-est asiatico. In cima alla classifica delle cause c’è il
problema della domanda di cibo aumentata in India, Cina e nel continente
africano. Nel summit Fao, Diouf ha rilanciato la richiesta di ulteriori
aumenti di produzione e maggiori donazioni da parte dei Paesi ricchi,
ricordando che gli aiuti in agricoltura dei Paesi donatori, dal 1980 al
2005, sono passati da 8 a 3,4 miliardi di dollari. Questa strategia
“pubblicistica” dei fondi alle Ong che spendono troppo in costi funzionali o
operano poco e male in Paesi, come lo Zimbabwe, il Sudan, la Somalia, dove i
fondi sono filtrati da governi dittatoriali e corrotti, è stata fortemente
contestata dai grandi Paesi.
Il problema produzione è strettamente legato a quello della distribuzione e quindi alla politica dei dazi e dei prezzi. Berlusconi ha affermato che gli aiuti vanno svincolati dagli impegni di bilancio Ue, per poter essere rafforzati, problema confermato anche da un rapporto del Centre For The New Europe che ha calcolato come la politica agricola europea e le sue barriere costino la morte di 6600 persone al giorno. Inoltre la spesa per grano e cereali (quindi pane), riso, ma anche per trasporti e petrolio è aumentata del 57 per cento e per quei Paesi che spendono l’80 per cento del loro reddito in tali risorse, questa situazione non sarà certo compensata da aiuti a fondo perduto e neppure dall’espansione del mercato Ogm. Questa reazione a catena ha portato ogni Paese a difendere il proprio piccolo orticello, dissanguando gli altri Paesi, con limitazioni alle esportazioni, scambi impari fra risorse del sottosuolo e risorse alimentari ed il summit di Roma non ha mancato di evidenziare questa guerra fra i diversi sud del mondo.
Lula ha difeso la politica di limitazione alle esportazioni e di incentivi per i biocarburanti estratti da canna da zucchero, sostenendo che la sfida ambientale non è né di ostacolo, né alternativa a quella alimentare. Sulla stessa linea ci sono India, Thailandia, Cina ed Usa che per tale scopo utilizzano la soia. I Paesi africani mantengono il loro scetticismo sui possibili aumenti di produzione e sui sussidi agricoli (la Francia ha promesso di incrementare i fondi per lo sviluppo agricolo nell’Africa subsahariana con un miliardo di euro, la Spagna, con la metà). Wade, presidente del Senegal si è fatto portavoce qualche settimana fa di una proposta provocatoria, chiedendo l’abolizione della Fao e la destinazione di tutti i fondi all’Ifad (Fondo per lo sviluppo agricolo dell’Onu), con organico e sede da trasferire in Africa. Di fronte a tali posizioni, molti membri sono rimasti in un gelido silenzio. Tutti d’accordo, da Mubarak a Zapatero per una Task Force di esperti guidata da Ban Ki Moon e sul partenariato mondiale che però contraddice la politica assistenziale Fao, promuovendo micro-credito e l’estensione del mercato per quelle quote di prodotti agricoli che ne restano fuori. “Il mercato non basta più”, ha detto il presidente Napolitano, ma nessuno vuole rinunciarvi e la Fao, stretta fra mille voci alcune assurde, come quelle di Mugabe ed Ahmadinejad, è sempre più debole.
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