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[04 giu 08]
Draghi: l'Italia può essere normale
L’understatement comincia dalla routine: esattamente il medesimo numero di pagine e la stessa lunghezza del testo, da pagina 3 a pagina 21; copertina e prima pagina sono standard. Mario Draghi non si smentisce e non smentisce il basso profilo che si è imposto per dimostrare che, anche nel nostro Paese, si possono fare cose normali e che, naturalmente, quando questo avviene, siamo di fronte ad un caso abbastanza eccezionale. La prima parte delle considerazioni finali, lette nel maggio del 2007, ospitava il ringraziamento ad una generazione che lasciava la banca - Vincenzo Desario e Pierluigi Ciocca - ed il benvenuto per chi, come Ignazio Visco e Fabrizio Saccomanni, ci ritornava, dopo esperienze presso altre istituzioni economiche. Oltre l’annuncio del nuovo statuto e della intenzione della banca tutta di volersi rinnovare. Il 31 di maggio del 2008 l’annuncio delle prime importanti novità: l’istituto di ricerca Einaudi, la riforma della Vigilanza, il riordino delle aree funzionali che governano la banca, le nuove regole di gestione del patrimonio finanziario della stessa, la nascita di un nuovo organismo sui problemi del riciclaggio finanziario.
“L’attuazione di questo ampio programma di rinnovamento e riorganizzazione conferma che è possibile riformare strutture complesse senza compromettere l’esercizio di delicate funzioni istituzionali” chiosa Draghi al termine della premessa e ringraziando il personale per l’impegno profuso ed i suoi risultati. Sulla crisi finanziaria mondiale, la sua dinamica e la dimensione degli interventi delle autorità monetarie per fronteggiarla, convince il giudizio finale: aiutare il mercato a riprendersi non significa sostituirsi ad esso. Né aiuterebbe cancellare l’innovazione finanziaria: “Renderemmo il sistema più povero, non più sicuro”. Dal 2007, infine, la crisi finanziaria impatta sulle dinamiche reali e la frontiera di preoccupazione rimane definita da quattro emergenze: la instabilità dei prezzi, il rallentamento della crescita americana, l’aumento continuo dei prezzi dell’energia e di altre materie prime. Crescita della produttività e risanamento dell’economia pubblica sono le chiavi del futuro sviluppo, un obiettivo necessario da perseguire con grande determinazione, nel caso italiano.
“La politica di bilancio deve restare ancorata all’esigenza macroeconomica di ridurre il debito pubblico in rapporto al prodotto. Ma se la sua articolazione sul piano microeconomico non è orientata all’efficienza ed alla crescita, l’economia ne è frenata, lo steso risanamento della finanza pubblica è reso più difficile”. Deriva da questa analisi degli effetti macroeconomici di una cattiva microeconomia della spesa pubblica l’esigenza, in seconda battuta, di sgonfiare, dove è possibile, la pressione fiscale: per restituire al mercato impieghi del reddito disponibile che, disposti dai consumatori o dalle imprese, sarebbero più efficienti sul piano microeconomico di quanto saprebbe o vorrebbe fare la macchina della pubblica amministrazione. Mentre “alcune caratteristiche del sistema pensionistico italiano tengono lontana dal lavoro una quota troppo ampia della popolazione”. Al contrario di quanto accade nel resto dell’Europa.
L’altro effetto pregiudizievole di una macchina pubblica incapace di agire razionalmente si legge nella fragilità e nei ritardi dell’economia meridionale. Dato che “la qualità della spesa pubblica e dei servizi che essa finanzia è centrale per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia: perché l’incidenza della spesa sul prodotto in quelle regioni è più elevata” E se crescesse il Sud, che ha uno spazio potenziale per farlo maggiore dell’economia settentrionale, darebbe una spinta decisiva al rilancio dell’economia italiana.
Forse, insomma, la questione meridionale, al contrario di quanto dice spesso la prima pagina del Corriere della Sera - un quotidiano sempre più milanese e sempre meno nazionale - rimane più importante per il Paese rispetto a quella settentrionale. Nonostante un imponente impegno finanziario dalla istruzione alla sanità, dalla sicurezza di cose e persone alla realizzazione di infrastrutture, “resta forte la differenza tra Mezzogiorno e centro-nord nella qualità dei servizi pubblici prestati, a parità di spesa”. “Il federalismo fiscale avrà tanto più generale consenso nel Paese quanto più accrescerà l’efficacia dell’azione pubblica. Regioni ed enti locali, cui la costituzione e le leggi affidano un ruolo crescente, hanno particolari responsabilità”. Il Mezzogiorno è questione delicata, insomma, anche perché è assai scadente la qualità della sua classe dirigente.
Dalla pagina 15 a quella 21, le ultime della relazione, si legge, infine, del basso profilo delle banche italiane, e della necessità che esse diventino ancora più competitive e molto più utili per i loro clienti e, di conseguenza, per il Paese. Senza dimenticare l’adeguamento della vigilanza sulle banche ai nuovi traguardi che esse stesse dovrebbero raggiungere. Lo stile di lavoro, il rilievo del mercato e degli operatori privati, i limiti della macchina amministrativa italiana, la crisi della produttività nel sistema e la inadeguatezza delle banche, soprattutto nella gestione del risparmio degli italiani. Il problema, che potrebbe essere la soluzione dell’incognita sulla crescita, della questione meridionale. Insomma Mario Draghi rilascia considerazioni finali dense ed asciutte. Che lasciano l’impatto pesante del proprio contenuto essenziale senza perdersi nella lunghezza della prosa, che lascerebbe troppo leggera l’impronta della critica.
Approfondimenti
La relazione
di Mario Draghi
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