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NEI SUPEREROI LA SICUREZZA PERDUTA
Nell'epoca del terrorismo e dell'insicurezza cronica, il mondo si rivolge all'universo dei supereroi per superare angosce e paure. A partire dal cinema.
di GIAMPIERO RICCI

[02 lug 08]
Questo inizio d’estate cinematografica ci offre un proliferare di titoli che vedono e vedranno ancora le evoluzioni sul maxi schermo di supereroi e vigilantes tratti dall’universo fumettistico della Marvel e della DC Comics. E’ infatti da poco nelle sale Iron Man, a breve vedremo invece il sequel del Batman di Christian Bale e un Edward Norton nei panni di Hulk. Dopo la trilogia di Spiderman e degli X-Men, il Daredevil di Ben Affleck, Ghost Rider con Nicolas Cage e il Punitore, tutte uscite recentissime, e aspettando a venire sul grande schermo Thor, le origini di Wolverine, i Vendicatori e i Watchmen, si può certamente parlare di una tendenza oramai consolidatasi: quella della Hollywood che veste i panni dei supereroi. Ciò è certamente il frutto delle potenzialità connesse all’affinarsi degli effetti speciali digitali, che hanno reso possibile la resa credibile su celluloide di icone del mondo fantasy diventate fondamentali nella genesi e nello sviluppo di un senso estetico, letterario ed artistico per tutte le giovani generazioni a partire dagli oggi trenta-quarantenni.

Ma quello che salta agli occhi è sempre di più il rapporto scambievole di ansie, angosce, rabbia, insicurezza, senso di giustizia e di impotenza che tali icone, rinnovandosi continuamente, sono capaci di tessere con l’immaginario dei milioni di individui che fanno la fila per passare qualche ora in loro compagnia. La giustizia e il senso di sicurezza sono due dei temi centrali dell’universo supereroistico e ogni successo di botteghino di questo lato del mondo fantastico è un inequivocabile segnale di paura spedito al mondo reale. Agli albori della nascita del Comic World vi era il rischio dell’olocausto nucleare, l’invasione comunista, il ’68 e la sua guerra all’idea di “famiglia”, l’emancipazione femminile. Oggi i supereroi combattono il terrorismo e il male dell’insicurezza e della violenza metropolitana. Non è certo una novità questo rapporto scambievole tra senso popolare e mondo del fumetto ma, quanto al cinema, il fatto è che ai giorni nostri si assiste ad una curiosa inversione di tendenza nella storia ultradecennale del suo intreccio con i Comics. Erano infatti i Comics inizialmente ad attingere dal cinema o dalla letteratura per proporre riduzioni giovanilistiche in chiave pop di tematiche attuali, di universi mitologici, di mode, tendenze.

Negli anni Sessanta i primi episodi dei Fantastici Quattro della Marvel (The Skrulls from outer space, The end of the planet X) rimandavano chiaramente all’immaginario tratto dalla fantascienza degli anni Cinquanta, a mostri, extraterresti, guerre di mondi, ed eroi come Thor, il figlio di Odino, erano un buon viatico per diffondere tra le giovani generazioni miti asgardiani e olimpici attraverso media indipendenti per definizione e accattivanti. Negli anni Settanta, andando in crisi l’industria dei supereroi di pari passo con il fallimento della guerra in Vietnam che implicitamente mise in discussione il concetto stesso di eroe, erano le calzamaglie e il gusto stravagante delle loro tenute, l’accento nei personaggi ad un anticonformismo che doveva cambiare la società a venire adottato dal mondo supereroistico che sfondava anche dentro il nascente movimento hippy (nel video tratto dal famoso concerto dei The Doors Live at the Hollywood bowl del 1967 vengono proiettate continuamente immagini ancora di Thor e di Silver Surfer, l’araldo dell’apocalisse, personaggio di un unico colore argenteo che cavalca una tavola da surf cosmica). Ma è dagli anni Ottanta in poi che si spalanca la strada per l’eroe controverso e insicuro in una società ancora più controversa e insicura. Spiderman e Wolverine nello splendido Perceptions di Todd McFarlene (Spiderman, 1991, n. 8/9/10/11/12), autore cui si deve il maquillage dell’Uomo Ragno in versione tutto evoluzioni e ragnatele filamentose di oggi, vanno sulle tracce di un orribile serial killer pedofilo, scagionando il mostro fumettistico di turno per scoprire il colpevole in un ispettore della polizia. Il Matt Murdock alias Daredevil, uscito dalla saga Rinascita dell’allora giovane Frank Miller, cui ci si è evidentemente ispirati nel film sopraccitato, di giorno è un avvocato che aiuta gli spiantati, di notte un vigilante che si fa giustizia da solo: dove non arriva la legge arriva lui.

Batman e il Punitore eccedono anche questa dicotomia per trasformarsi spesso in vendicatori, uno mascherato, l’altro no, entrambi endemicamente dubbiosi sulle capacità delle istituzioni di riuscire a tutelare la propria cittadinanza. Fascisti, per i democrats, eppure espressione, i supereroi più violenti, oltre che di una giustizia fai da te, di una marcata fiducia nella buona volontà di uomini giusti, come il Commissario Gordon amico di Batman. Siamo ad una elaborazione dell’idea di crimine, ad una critica molto più realista, coraggiosa e scorretta del “bel pensiero” dietro l’indulgenza che ha condizionato le istituzioni democratiche occidentali negli ultimi decenni in materia di sicurezza, meno elementare di quella cui erano abituati i lettori dei Comics, allorché tra gli arcinemici il massimo del realismo erano signori del crimine dal nome Lucky Lewis (un po’ Lucky Luciano il capomafia e un po’ Joe Lewis il gangster). Oggi certa letteratura, certa critica per cui il supereroe resta solamente il “nuovo mito” della società consumista è divenuta oramai residuale e a guardare questa cinematografia sembra quasi che non siano più i supereroi ad essere ancorati alla realtà ma la realtà a loro.


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