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LA SPAGNA E' ANCORA DI ZAPATERO
Vincono i socialisti, cresce anche il Pp, perdono terreno i piccoli partiti. Ma Zapatero dovrà affrontare due nodi cruciali: terrorismo e crisi economica.
di ENZO REALE

[10 mar 08] José Luís Rodriguez Zapatero succede a se stesso e governerà la Spagna per altri quattro anni. Le urne hanno confermato quanto anticipato dai sondaggi degli ultimi mesi: il Partido Socialista Obrero Español (Psoe) vince le elezioni generali con quasi 4 punti percentuali di vantaggio sul Partido Popular (Pp) – 43,7 per cento a 40,1 - e si aggiudica 169 seggi al Congresso dei Deputati contro i 153 della principale forza di opposizione, una differenza di 16 parlamentari identica a quella registrata nel 2004. Entrambi i grandi partiti hanno guadagnato posizioni rispetto alle formazioni minori, con gli indipendentisti di Esquerra Republicana (Erc) e i comunisti di Izquierda Unida ridotti ai minimi storici. Buon risultato invece dei nazionalisti catalani di Convergència i Unió (Ciu) il cui appoggio al governo potrebbe teoricamente rivelarsi determinante dal momento che i socialisti non hanno raggiunto la maggioranza assoluta di 176 seggi. Nessuna sorpresa dunque in una giornata elettorale su cui non ha pesato più di tanto l’impatto emotivo dell’assassinio a sangue freddo dell’ex assessore socialista di Mondragón, Isaías Carrasco, per mano di un sicario dell’Eta. Una partecipazione elevata, vicina alle percentuali di quattro anni fa, è stata forse l’unico segnale evidente di reazione all’azione terrorista di venerdì scorso.

Fin dai primi exit-poll la vittoria della sinistra è apparsa chiara e i dubbi riguardavano soltanto l’ampiezza del divario. Zapatero si è presentato davanti ai suoi sostenitori della Calle Ferraz – la sede socialista - poco prima delle 23 quando i giochi erano ormai fatti, accompagnato dalla moglie e da tutto lo stato maggiore del partito. Dopo il ricordo delle ultime vittime di Eta, ha parlato di “vittoria chiara”, di “nuova tappa”, di “dialogo sociale e politico”, di “Spagna unita e diversa” ma anche di “correggere gli errori commessi”, senza peraltro specificare a cosa si riferisse. Poco dopo nella Calle Genova è stata la volta di Rajoy in un tripudio di bandiere francamente incomprensibile per un partito che aspirava a conquistare il governo del paese e che ha finito evidentemente per accontentarsi di una sconfitta onorevole. Il paradosso è che il candidato dell’opposizione è riuscito nonostante tutto a consolidare la sua leadership, migliorando sensibilmente il risultato del 2004 sia in termini di seggi che in numero di voti. Bisognerà vedere fino a che punto l’aver evitato una disfatta rinvierà una riflessione comunque necessaria nelle file dei popolari, constretti ad un’altra legislatura di purgatorio e incapaci di superare lo stallo seguito alla fine dell’era Aznar.

Il riflesso condizionato delle scorse elezioni generali, svoltesi sotto l’ipoteca delle stragi di Madrid, ha spinto molti a chiedersi se e in che misura l’intervento di Eta in campagna elettorale avrebbe influito sul risultato finale. Un’associazione di idee inevitabile ma tuttavia fondata su premesse sbagliate per quattro ragioni principali: per quanto esecrabile, l’omicidio di Carrasco non è comparabile per dimensioni e significato politico con la carneficina di Atocha; gli attentati dell’11 marzo intendevano colpire un governo che stava partecipando attivamente nella lotta internazionale contro il terrorismo islamista mentre i cinque spari mortali di Mondragón si producono al termine di un lungo periodo di trattativa tra Stato e terroristi; il Psoe non aveva esitato a strumentalizzare politicamente il massacro ed i tentennamenti dell’esecutivo Aznar nei tre giorni che avevano preceduto il voto, strategia che invece si è guardato bene dall’utilizzare Mariano Rajoy in questa occasione; infine si è dato per scontato che Eta volesse provocare uno “spostamento di voti” – senza peraltro specificare a favore di chi e perché – quando probabilmente l’unico obiettivo della banda era riaffermare la propria ingombrante presenza nel panorama politico della prossima legislatura.

Al funerale di sabato, la figlia di Isaías Carrasco chiedeva che nessuna forza politica manipolasse a fini elettorali la morte di suo padre ma allo stesso tempo ne rivendicava “le idee socialiste” e faceva appello ad una elevata partecipazione, in un riferimento troppo chiaro ad istanze di parte per non risultare stridente rispetto alla situazione in cui veniva formulato. Ma al di là di ogni considerazione secondaria prevale una constatazione di fondo: messi tragicamente di fronte al fallimento della politica conciliante di Zapatero nei confronti dell’Eta e della sua intelaiatura di connivenze all’interno della società basca, gli spagnoli hanno deciso comunque di premiare l’esecutivo in carica rinnovandogli la fiducia e dimostrando quanto sia difficile per i popolari opporsi alla formidabile macchina di gestione del consenso a tutti i livelli (istituzioni, media, opinione pubblica, associazioni) su cui la sinistra ha costruito e consolidato i suoi successi dal ritorno della democrazia ad oggi.

Ci sarà tempo nei prossimi giorni per analizzare le prospettive della prossima legislatura soprattutto in chiave di eventuali alleanze. Il Psoe ha governato per quattro anni grazie ad accordi puntuali con le forze di sinistra e nazionaliste e da domani disporrà di una maggioranza ancora più ampia: è improbabile quindi che decida di limitare il proprio raggio d’azione attraverso accordi permanenti con altre forze politiche, anche se sarà interessante valutare il ruolo dei nazionalisti catalani di Ciu i cui 11 deputati potrebbero risultare decisivi in circostanze concrete. La Catalogna, dove i socialisti sono attualmente al potere con gli indipendentisti di Erc e gli ambientalisti, si è dimostrata ancora una volta un serbatoio di consensi essenziale per le sorti dell’esecutivo, regalando a Zapatero quattro deputati in più rispetto agli anteriori comizi. D’altro canto la sconfitta di Erc – i cui voti sono andati ad ingrossare il bottino socialista - ed il ridimensionamento del Partido Nacionalista Vasco (Pnv) mandano un segnale significativo al capo del governo anche in chiave di future alleanze a livello locale: gli spagnoli non vogliono che i nazionalisti condizionino la politica nazionale. A Madrid farebbero bene a tenerne conto.

Altro vincitore di queste elezioni è il bipartitismo che si consolida quale tendenza inevitabile della democrazia spagnola grazie soprattutto alla concentrazione dei voti della sinistra attorno al Psoe, che assorbendo i consensi delle formazioni più radicali finisce per annullarne il potenziale di ricatto politico. Il nuovo corso si aprirà con due grandi incognite sul tavolo: da una parte la linea che il governo intenderà seguire nella questione del terrorismo basco (applicazione del codice penale o riproposizione del negoziato); dall’altra un’economia in fase di sensibile rallentamento le cui reali dimensioni conosceremo presto, una volta esauriti i fumi della campagna elettorale. Secondo l’Economist sarebbero proprio questi segnali di crisi a rappresentare il principale problema del nuovo governo, al punto da sostenere che queste elezioni sarebbe stato più conveniente perderle. Ma è improbabile che oggi la Spagna di sinistra si riconosca in questa analisi.



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