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[13 mar 08]
Se il pannolino lo cambia papà
Flessibilità è la parola d’ordine dei nostri tempi. Sul lavoro bisogna
essere pronti a saltare da un ruolo a un altro, da un posto all’altro,
senza perdersi in recriminazioni e nostalgie. E allora forse accade,
senza che nemmeno uno se ne renda troppo conto, che l’abitudine ad
essere eclettici scivoli anche in altri aspetti della vita, sovvertendo
ruoli sacralmente prestabiliti. Come quelli di mamma e papà. Nei Paesi
del nord Europa, infatti, si sta lentamente affermando un nuovo trend:
quello dei papà che decidono di restare a casa ad occuparsi della prole,
favorendo la carriera delle loro compagne. L’Espresso di qualche mese fa
citava due casi illustri. Quello di Stephen Kinnock, marito del leader
della sinistra danese Helle Thorning Schmidt, che ha interrotto una
trasferta di lavoro per consentire alla moglie di dedicarsi alla
campagna elettorale, e quello del ministro degli Esteri inglese, David
Miliband, che ha annullato un incontro ufficiale col suo omologo saudita
per lasciare che la moglie violinista completasse i suoi concerti con la
London Simphony Orchestra. Era in arrivo un figlio adottivo e toccava a
lui esserci. Chissà come l’avrà presa il ministro saudita, vista la
scarsa attenzione che il suo Paese riserva alle esigenze femminili.
Sono solo due esempi eclatanti di un’inversione di tendenza che, agevolata da leggi ad hoc, inizia a prendere piede. E sempre più uomini scoprono quanto può essere bello restare a casa ad allevare i bambini, lasciando alla donna, magari più in carriera e più pagata di loro, il ruolo tradizionalmente maschile del breadwinner. Non si tratta quasi mai, però, di casalinghi convinti. Piuttosto sono uomini che reinventano il proprio lavoro e, grazie alle nuove tecnologie, fanno della casa il loro quartier generale. Comprensibilmente, la percentuale di papà che compiono questa scelta è direttamente proporzionale al welfare per le famiglie e inversamente proporzionale al machismo presente nelle culture del Paese in cui si vive. In poche parole, i papà a casa abbondano nei Paesi scandinavi, dove il congedo parentale è più lungo e più pagato e sono ben presenti in Gran Bretagna, dove si organizzano intorno al sito Home dad con dritte e gruppi di incontro. Negli Stati Uniti, secondo le ultime statistiche, è il 5 per cento dei padri a restare a casa. Qui esiste addirittura un At-home dad network (sottotitolo: gli uomini che cambiano i pannolini possono cambiare il mondo) e sul loro sito si trovano statistiche, gruppi, consigli e manuali.
Ma questa inversione dei ruoli fa sentire gli uomini deprivati della loro virilità? A giudicare da una recente inchiesta del Time, parrebbe proprio di no e, anzi, sembra farsi strada un nuovo modello di mascolinità, che trova la sua espressione più completa nella paternità. “Essere un uomo vuol dire esserci per i tuoi figli”, esemplifica un intervistato. Ed ecco tutta una schiera di nuovi uomini che non credono più che essere maschi voglia dire avere successo nel lavoro, essere competitivi, ottenere prestigio, potere e non esternare i sentimenti. Ma anzi sono fisicamente affettuosi con i loro bambini, esprimono il loro amore anche verbalmente, li aiutano a fare i compiti. E, ovviamente, cambiano i pannolini.
E in Italia? Da noi le cose vanno diversamente. Intanto le differenze salariali fra uomini e donne, il fatto che le donne con ruoli di alta responsabilità (e relativi stipendi) siano ancora così rare, fa sì che siano quasi sempre quest’ultime a prendere il congedo di maternità, optare per il part-time o, eventualmente, abbandonare la carriera, nell’impossibilità di conciliare famiglia, lavoro e servizi insufficienti. Sebbene la legge 53 del 2000 consenta anche ai papà di chiedere il congedo, nel nostro Paese ne usufruiscono in pochissimi. Meno del 20 per cento nel pubblico impiego, dove pure il primo mese è pagato al 100 per cento, ancora meno nel settore privato. In Italia il ruolo di breadwinner è assegnato saldamente all’uomo e assentarsi dall’ufficio per prendersi cura dei figli (ruolo destinato altrettanto saldamente alla donna) viene considerato indice di scarsa professionalità e scarso attaccamento al lavoro. D’altronde, secondo i dati riportati da Chiara Saraceno in questo documento Istat, nel 2002-2003 il 44 per cento di padri di figli fino a 13 anni non era per nulla coinvolto nella cura della prole. E anche quando se ne occupano, lo fanno in maniera selettiva, preferendo le attività ludiche e di socializzazione a quelle propriamente di cura fisica, che restano di competenza della donna. Insomma, per l'uomo italiano va bene portare i figli al cinema o a giocare a calcio, ma non chiedetegli di cambiare i pannolini. Lo avevate indovinato?
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